di Nino Femiani Neppure la distruzione e la morte hanno cancellato un carattere concupiscente di Pompei, la città seppellita dalla furia del Vesuvio nel 79 dopo Cristo. Ciò che oggi chiameremmo pornografia era qualcosa di molto ordinario per i pompeiani, che ne usavano gli elementi per mosaici, affreschi, statue e oggetti personali. Un uomo o una donna di alto rango potevano permettersi i propri piaceri, senza dover dar conto a nessuno se non al console: per la società romana il sesso era sesso. Gli uomini potevano avere relazioni intime con individui del loro stesso genere o del sesso opposto, e nessuno li criticava, sempre che l’altra persona avesse uno status sociale inferiore (servi, schiavi, o anche uomini liberi stranieri). Un viaggio nell’eros e nella percezione che i pompeiani avevano del sesso: è questo che, in modo straordinario, ci restituisce la mostra Arte e sensualità nelle case di Pompei aperta nella Palestra Grande fino al 15 gennaio 2023. Un percorso iconico che cerca di indagare senza ipocrisie su un quesito aperto da due secoli: perché nell’immaginario dei romani di Pompei la sensualità fu così onnipresente e metodica tanto da occupare tutti gli spazi della città, da quelli privati (le domus) a quelli pubblici (le terme, le osterie, i bordelli)? Il percorso espositivo – curato dal direttore Gabriel Zuchtriegel e dell’archeologa Maria Luisa Catoni, professoressa all’Imt Alti Studi Lucca – propone una chiave didattica, ma anche emozionale e sensoriale. Tra le settanta opere in mostra, provenienti dai depositi del Parco Archeologico di Pompei, anche i due medaglioni in bronzo con scene erotiche del carro cerimoniale da Civita Giuliana e il raffinato soffitto del cubiculum (stanza da letto) rinvenuto nella “Casa di Leda e il cigno“, e le tre pareti del cubicolo della Villa di Gragnano in località Carmiano, ricostruito dopo il recente restauro. ...
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