Martedì 23 Aprile 2024

Serianni, il linguista più grande al servizio degli studenti

Appassionato di Dante, nemico degli anglismi, divulgatore autorevole e mai noioso, ha vissuto l’insegnamento come dovere costituzionale

Migration

"I miei allievi hanno tutti un loro profilo specifico all’interno di un sapere e di un metodo condiviso. La mia impronta, se c’è, si esaurisce in un noto obbligo al quale tutti loro sanno di non poter derogare: l’uso dell’accento grafico su sé stesso". Morto ieri a 74 anni dopo essere stato investito sulle strisce pedonali da un’auto lunedì a Ostia, Luca Serianni, linguista di fama mondiale, accademico della Crusca, membro dei Lincei, nato a Roma nel 1947, scherzava così, nell’aula magna dell’Università La Sapienza di Roma per la sua ultima lezione.

Era il giugno del 2017, quel suo discorso fu salutato da fragorosi applausi e da tante risate, quasi a voler suggellare la cifra di quello che per 38 anni era stato il suo rapporto con gli studenti e con la disciplina, amatissima, che insegnava, argomento dei suoi infiniti studi e di tanti libri, dalla Grammatica italiana Utet alla Storia della lingua italiana (Carocci), da Un treno di sintomi (Garzanti) a Parola (2016) solo per citarne alcuni, oltre naturalmente al dizionario Devoto-Oli curato con Maurizio Trifone, e agli scritti su Dante.

"Chi ha scelto di fare l’insegnante non può prendersi il lusso di fare il pessimista", disse in quell’ultima lezione: perché Serianni era animato da un senso civico fortissimo che lo aveva portato a considerare la sua professione come un servizio, un dovere costituzionale quale adempiere nei confronti dei suoi studenti. Ai quali, sempre in quell’occasione, volle ricordare proprio quel passo della Costituzione (Comma 2 dell’articolo 45) che per tutta la sua vita di docente ha voluto seguire: "Per me, ragazzi, voi rappresentate lo Stato".

Lui era così, un maestro "autorevole e gentile", un intellettuale con il sorriso sempre pronto, un divulgatore autorevole eppure mai cattedratico, mai noioso, come tanti ieri l’hanno ricordato, nel cordoglio diffuso delle istituzioni, del presidente Mattarella, del mondo universitario, dei politici, della gente comune.

Al centro dei suoi studi la parola, primo strumento del pensiero umano, ponte tra noi e il mondo, ma anche l’analisi dell’evoluzione della lingua dal latino all’italiano, dall’idioma popolare al linguaggio poetico, dalla grammatica storica all’influenza dei contesti culturali e sociali. La lingua cambia, certo, ma i neologismi "sono un po’ come i girini, ne nascono moltissimi ma alla fine sono pochi quelli che riescono a impiantarsi stabilmente". Critico sull’uso smodato degli anglismi, soprattutto da parte delle istituzioni e dei giornalisti, sorrideva sull’uso di termini come Jobs act "che non si sa cosa voglia dire".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro