Sergio Stokar, buen retiro addio In missione nel post pandemia

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Dov’era finito Sergio Stokar? In un’isola deserta. Che lui definisce un buen retiro, ma è un buen retiro forzato. Costretto a vivere in un’isola deserta e come unica consolazione i classici: da Tucidide a Lucrezio. E la compagnia di un tale Hermann, sedicente superstite di una divisione delle Ss che morirà sull’isola. Stokar è un ex poliziotto, costruito narrativamente da Tullio Avoledo in Nero come la notte (Marsilio, premio Scerbanenco 2020).

Dell’allora apocalittico Nero come la notte resta lo sfondo in questo secondo capitolo con protagonista sempre Stokar. Uno scenario apocalittico che subisce un’inevitabile accelerazione anche perché siamo subito dopo la grande pandemia, la peste nera come la definisce Stokar, che altro non è poi che il Covid. Che mondo ritrova Stokar dopo il Covid? Più o meno sempre lo stesso, abitato da loschi figuri con cui aveva già fatto i conti nel passato (per gli appassionati di Stokar, quell’Alemanno Ferrari che altro non è che il suo carceriere) e nuovi personaggi come un oligarca russo (e anche qui la fantasia narrativa tocca e lambisce l’attualità) che sarà il suo nuovo datore di lavoro.

Così Stokar lascia il buen retiro e in compagnia di un avvocato, alquanto sinistro ma non nei modi, affronta questa missione tra Belize e Cina, con il Male – nelle sue molteplici forme – sempre dietro l’angolo. Una missione che mette di fronte l’antieroe di Avoledo a tante schegge del suo passato. E soprattutto a quel nome: Elena, il suo amore perduto.

Matteo Massi

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