"Senza i Baustelle è nata una psychodonna"

Rachele Bastreghi lancia il primo album da solista. Fra le collaborazioni Meg e Chiara Mastroianni: "Fosse un film il disco sarebbe Thelma & Louise"

Rachele Bastreghi

Rachele Bastreghi

Via dai Baustelle. Sfruttando la pausa della band e il disco solista del sodale Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi pubblica oggi Psychodonna, l’album con cui colora i sogni abbozzati sei anni fa nell’ep Marie. Un debutto a 43 anni che la cantautrice toscana plasma sulle sue tante sfumature di donna, con la complicità un elettropop in cui trova posto pure una versione riveduta e corretta di Fatelo con me, scritta nel ’78 da Ivano Fossati per l’allora emergente Anna Oxa.

Rachele, quando ha capito che il momento del primo album era arrivato?

"Nell’ultimo tour dei Baustelle ho sentito la crescita di una consapevolezza, che un po’ m’ha svegliata. Ho sentito l’urgenza artistica di dire qualcosa e certi bisogni non spuntano mai a caso. Mi sono data la possibilità di sbagliare, per sentirmi totalmente libera".

A proposito di questo album, lei parla di una versione riveduta e corretta della Saison en enfer, della Stagione all’inferno, di Arthur Rimbaud.

"È un disco che parla di una lotta interiore, di una presa di coscienza e di non avere paura. . Mi metto a nudo. Non è facile andare al fondo di se stessi, di guardarsi allo specchio, ma l’ho fatto".

Ci sono stati degli ascolti che l’hanno segnata in questo processo di consapevolezza?

"Il Battiato sperimentale di album come Fetus, Pollution o ‘Clic’ ha avuto un ruolo, ma pure i miei riferimenti femminili a cominciare da Edda Dell’Orso, Nico, Laurie Anderson o Patti Smith. Un mondo variegato".

Un pezzo l’ha voluto dedicare all’attore Harry Stanton.

"Ho usato lui per raccontare me. Stanton è stato, infatti, un caratterista del grande schermo sempre sul filo di diventare protagonista. Partendo da una delle sue ultime interpretazioni, Lucky di John Carroll Lynch, ho compiuto un viaggio nel personaggio: muto, solitario, costantemente in viaggio alla ricerca di se stesso. Un po’ quello che è accaduto a me, complice il lockdown, nei tre anni di gestazione di questo disco, scritto e prodotto assieme a Mario Conte".

In Penelope c’è l’attrice lughese Silvia Calderoni, esponente di punta del teatro di ricerca (e volto androgino dei cortometraggi di Gus Van Sant per Gucci) che nel finale ricorda “La mia diversità è il mio punto di forza”.

"Vero. E io che non ho paura della forza degli altri amo stringermi a donne in cui mi riconosco. Silvia l’ho vista in MDLSX di Motus e sono rimasta sconvolta dalla potenza del suo stare in scena. Poi siamo diventate amiche e quando ho avuto tra le mani questo pezzo, ho pensato di coinvolgerla. Così è stato con Meg (ex voce dei 99 Posse e fidanzata di Roberto Saviano - ndr), ma anche con Chiara Mastroianni in Due ragazze a Roma, un altro brano dell’album. Spesso le donne sono le peggiori nemiche delle donne, mentre questo progetto è un gran bell’esempio di amicizia".

Chi le sarebbe piaciuto avere accanto a Calderoni, Meg e alla figlia di Marcello Mastroianni e Catherine Denevue?

"Bjork. Oppure, pescando nell’universo maschile, il francese Sébastien Tellier".

Per un attore l’intelligenza compositiva è data da potenza espressiva e controllo. E per un musicista?

"Nel mio caso soprattutto dal controllo. Ho impiegato anni per raggiungerlo e condurre in porto questo disco. Prima scrivevo, scrivevo, ma non avevo la visione. Ora l’ho trovata e posso anche non nascondermi più nel gruppo".

Perché nella conclusiva Resistenze cita Her kind della (travagliata) poetessa americana Anne Sexton?

"Per il coraggio di combattere i propri demoni e di andare contro la società, la famiglia, il modo in cui la volevano gli altri. E poi perché quel componimento ha una musicalità straordinaria. Mi piacciono le donne fragili e combattive, anche se poi spesso vittime di questa loro fragilità come la Sexton, ma anche Sylvia Plath, Alda Merini o Antonia Pozzi".

Qual è la sua parte di “psychodonna” più risolta e quella meno?

"Nella presa di coscienza, nell’accettarsi, nel non avere più paura del giudizio degli altri ho fatto passi da gigante. Ma di aspetti ancora irrisolti nella mia personalità ne ho ancora parecchi... e forse è un bene così perché significa che, se l’arte è pure una forma di psicanalisi, la mia carriera non finisce domani".

Se fosse un film, questo disco cosa sarebbe?

"Probabilmente Thelma & Louise, per l’orgoglio femminile che si porta dietro e perché, in fondo, pure la mia è una fuga per ritrovarmi. Rispetto alla pellicola di Ridley Scott, tuttavia, cambierei il finale".

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