Sabato 20 Aprile 2024

Se Cassius Clay e Malcolm X fanno autocritica

Silvio

Danese

Metà festival, protocollo intero, severo e applicato. Se infili un dito, non nel naso, ma per spaziare la mascherina, solo un minutino dai, be’ dal buio ti piombano addosso tenerelle assistenti di sala per assicurare la completa copertura delle narici festivaliere, come ha scritto ieri il “New York Times” in un pezzo trionfante su Venezia 77, attesa benedizione internazionale dell’edizione Covid, subito rilanciata dal Palazzo del cinema tra mail, social e sorrisetti ancora tesi. Tutto è bene quel che finisce bene, però quando finisce... Faccia a faccia, ieri, Stati Uniti e Russia, a ciascuno il suo: “One night in Miami” è un implacabile "ragionamento" in unità di luogo spazio e tempo (Cassius Clay, Malcolm X, Jim Brown e Sam Cook una notte a discutere all’Hampton House Motel, dopo il titolo mondiale di Clay) più che sul razzismo dei bianchi, sul progetto frainteso o proprio sbagliato, degli afroamericani nel periodo cruciale delle lotte primi anni ‘60, diretto con adesione e commozione dalla Regina King star di “American crime”; “Dorogie Tovarisch!” (Cari compagni!) sembra l’altra faccia della stessa medaglia di repressione, la cronaca della giornata di rivolta, stroncata dalle fucilate del Kgb (1967), degli operai di una fabbrica di Novocherkassk, massacro senza senso firmato dal "democratico" Kruscev, raccontato da Andrej Konchalovskij in bianco e nero e formato 4:3 seguendo una funzionaria di partito che scopre man mano nefandezze, interpretata dalla moglie del regista Yulia Vysostkaya, altra papabile alla Coppa Volpi. Esterrefatti e non rimborsati, ma comunque sorpresi e interessati, all’altro film in concorso, la fantasia di claustrofobia borghese e liberazione ironica del polacco “La neve non cadrà mai più”, enigma irraccontabile.

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