Martedì 16 Aprile 2024

Scorsese fa l’indiano: “Ammiro i popoli nativi”

Il regista a Cannes 47 anni dopo “Taxi Driver“. Accanto a lui, con De Niro e DiCaprio, anche il capo degli Osage ’Orso che sta in piedi’

Sono passati 47 anni. Quarantasette anni, da quando Robert De Niro venne a Cannes insieme a Martin Scorsese, per presentare Taxi Driver, che avrebbe vinto la Palma d’oro. Avevano tutti e due i capelli neri, gli occhi affamati, erano magri e nervosi. Non lo sapevano, ma stavano iniziando a scrivere la leggenda. "Era il 1976, mi pare, quando eravamo qui, eh Marty? Bello tornare qui in questo modo…" dice Robert De Niro, che non è mai uno di troppe parole. E accanto a lui Martin annuisce, con uno di quei sorrisi da nonno saggio. Hanno tutti e due i capelli bianchi, le smorfie più quiete. Ma lo sai, tu che hai visto i loro film, quanta tensione, quanta adrenalina, quanta disperazione e quanta intensità è scorsa nelle loro anime.

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Con loro, Leonardo DiCaprio. E averli tutti e tre, nella stessa stanza, è qualcosa di memorabile. La sera prima, il delirio della folla, gli applausi alla fine della proiezione di Killers of the Flower Moon, il film di Scorsese presentato in anteprima mondiale, fuori concorso, a Cannes. Il film in cui Scorsese riunisce i suoi due attorifeticcio. De Niro di Toro scatenato e di The Irishman, e Leo DiCaprio di The Departed e Wolf of Wall Street. Tre leggende del cinema, insieme.

Con loro c’è Standing Bear, ‘Orso che sta in piedi’. È il capo della tribù Osage. Le vittime di un massacro silenzioso, lucido e spietato, nell’Oklahoma degli anni Venti, di cui il film di Scorsese racconta le tappe. E se i gangster di Scorsese, i suoi “bravi ragazzi“ ingenui e feroci, hanno sempre destato simpatia, qui non puoi stare dalla loro parte. Stai dalla parte degli Osage, vittime di misteriosi omicidi, su cui ciascuno si guarda bene dall’indagare.

"Il mio personaggio – dice Robert De Niro – è un proprietario terriero che si conquista la fiducia degli Osage, per poi ordinare la maggior parte degli omicidi. È un personaggio accattivante, che conquista le persone. È un criminale vero, ma pensa anche di essere amato. È folle, ma è così. Un po’ come Donald Trump, insomma". Parlare di Trump e – per il laconico De Niro – un piacere a cui non si sottrae quasi mai. E non per tesserne l’elogio.

"Il film ci ha richiesto anni di lavoro – dice Scorsese – Ma man mano che conoscevo gli Osage, li rispettavo di più. I loro rituali, la loro spiritualità, la loro cultura. Avrei voluto mettere nel film ogni dettaglio della loro vita, anche i disegni delle loro coperte o le loro pipe. Molti di loro sono stati uccisi da imprenditori bianchi, per impossessarsi delle concessioni petrolifere, poiché nelle loro terre era stato trovato l’oro nero". Una fortuna e insieme una maledizione. Perché la rapacità dell’uomo bianco, nel film, non si ferma davanti a nulla. Come in una versione contemporanea di Greed, il capolavoro di Eric von Stroheim. Il cui titolo significa appunto rapacità. "La mia gente ha sofferto enormemente – dice capo Orso che sta in piedi, che è stato chiamato come consulente nel film – Ma Scorsese ha ricostruito la fiducia tradita, il legame spezzato con i bianchi".

"Martin Scorsese? È semplicemente il più grande regista dei nostri tempi – conclude Leonardo DiCaprio – La relazione fra De Niro e Scorsese ha cambiato il cinema, e la nostra percezione della vita". Semplice, chiaro. E soprattutto, vero. "La sua ferocia nel voler raccontare la verità, non importa quanto sgradevole, è la sua qualità più grande. Scorsese ha questa enorme capacità di dire il vero", conclude DiCaprio.

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