Giovedì 25 Aprile 2024

Scandaloso Picasso, ma l’arte non ha morale

A cinquant’anni dalla morte del pittore, si ripropone il tema del rapporto fra vita personale e creazione. Giudizi da tenere separati

Scandaloso Picasso, ma l’arte non ha morale

Scandaloso Picasso, ma l’arte non ha morale

di Davide

Rondoni

Proviamo a guardarla dall’altra parte. Di solito ci si interroga a riguardo della vita dell’artista, se e come corrisponde al valore della sua opera. Ci si chiede se una persona pessima possa fare buona arte. O, al contrario, se è valida l’opera di una persona pessima. Ma proviamo a vederla dal lato opposto, dell’artista, e non di chi presume di giudicare l’opera e anche la vita. Se scrivo poesie non è per propormi come modello umano, né per raccontare i fatti miei. Se volessi solo esibirmi andrei nei salotti tv. E invece mi interessa conoscere il mondo e fare poesie come un artigiano fa delle sedie dalle quali ciascun lettore guarda la sua vita e il mondo, non la mia vita.

Certo la vita di un artista influenza l’arte ma vivisezionandola non si può giudicare l’opera. Abbiamo due avvisi eccellenti. Da un lato Giacomo Leopardi che diceva di non intepretare la sua poesia e la sua filosofia a partire dalla sua vita (e invece milioni di ore di scuola e filmetti modesti sulla “vita”). E dall’altro Carmelo Bene che nella conferenza stampa precedente alla lettura di Dante per l’anniversario della strage di Bologna, disse che non potendo essere santo aveva deciso di essere artista.

Mi sono venuti in mente leggendo Picasso. La mala arte (La Corte editore), ben scritto con agile profondità e documentazione da Michela Tanfoglio. Il racconto della vita di Picasso, artista certo geniale, suscita tra lo scalpore e la pena. "Una macchina di morte" definisce una sua amante quest’uomo dallo "sguardo di quarzo". Egotico, narciso, violento, taccagno, pare che al corredo dei vizi non mancasse niente, esercitati con generosità sulle vittime – specie donne sue continue ispiratrici – comunque consenzienti, come ricorda l’autrice. Una sola lo lasciò. E già ogni rigido giudizio si incrina.

In pieno scandalo pedofilia in una prestigiosa Università americana dove ero a parlare di Pasolini ricordai che aveva tendenze del genere e cercava ragazzini in stazione. Si creò notevole imbarazzo. Ma non per questo, conclusi, non va letto e studiato e apprezzato. L’imbarazzo non scemò granché. Si era all’inizio di una fase di censure tanto stupide quanto meticolose. È difficile in un’epoca falsamente moralista parlare di arte. Specialmente in una epoca che invece di avere patroni in cielo ha padroni sulla terra. Tali padroni devono avere riti e sacerdoti a malacopia delle religioni. E dunque anche “santi”. O almeno “eroi”. In un’epoca secolarizzata, gli artisti sono spesso presentati come destinatari di un culto se pur non trascendente. L’arte serve a conoscere, ma non i pregi dell’uomo artista, bensì la verità della vita, lì stanno i veri scandali. Il moralismo usato come clava ha un difetto: non salva nessuno.

Il Picasso descritto con grazia e vivace tinta narrativa dalla Tanfoglio deve essere messo all’indice da femministe (vere o presunte)? Ma l’artista non è un delegato alla santità da una epoca senza fede. Valutiamo l’arte. Come uomo verrà giudicato semmai da chi lo ha conosciuto bene davvero. E dal buon Dio di fronte al quale, diceva un poeta di Cesena, speriamo tutti di cavarcela con un “tozzone”. Sulla persona cautela sempre, come suggerisce pur senza censure questo informato e godibile libro. Se no anche l’arte, come vediamo, diviene terreno di condanne di tribunali eretti dal potente di turno.

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