Santamaria: "Mi chiamavano Jeeg. Ora sarò l’uomo-lupo"

L'attore torna sul grande schermo con 'Freaks Out', ancora diretto da Mainetti: "Non un film, ma un evento sorprendente"

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Ospite del Festival di Benevento dedicato al cinema e alla televisione, Claudio Santamaria torna sul palco dopo il lockdown. E torna con uno spettacolo dedicato ad Alberto Sordi, nel centenario della nascita. Uno spettacolo-monologo, con musiche dal vivo e, sullo schermo dietro di lui, spezzoni video talvolta rari e preziosi: come quello che mostra Alberto Sordi, in parrucca e cipria, tentare disperatamente di convincere Federico Fellini a dargli il ruolo di Casanova. Quella volta ad Albertone andò male: Fellini scelse, per quel ruolo, Donald Sutherland.

"Anche io ricordo di avere avuto la fame di farcela che aveva Alberto Sordi: ricordo giorni in cui andavo a Cinecittà e bussavo a tutte le porte, chiedendo se ci fosse lavoro per me", spiega Santamaria. "Ho trovato tante porte chiuse, ma in qualche modo ho sempre saputo che questo sarebbe stato il mio mestiere".

Santamaria, come ha vissuto il lockdown? Per un attore abituato al contatto col pubblico, non deve essere facile.

"Non lo è stato, infatti. Abbiamo cercato comunque di portare un po’ di noi agli altri: suonando, cantando, leggendo. Io e mia moglie Francesca (Barra, giornalista, scrittrice e conduttrice tv con cui Claudio ha vinto anche il reality Celebrity Hunted di Amazon, ndr) siamo andati ogni fine settimana alla mensa dei francescani a Milano a cucinare per i senza tetto e per le famiglie in difficoltà. Abbiamo cercato di mettere a disposizione degli altri questo tempo, e di non farci mancare l’amore e il calore delle persone".

Che cosa ha scoperto di Alberto Sordi preparando questo monologo?

"La sua determinazione. Non si arrendeva mai, perché sapeva che quella dell’attore era la sua vocazione. La sua storia fa capire l’importanza di impegnarsi in un mondo in cui sembra tutto facile: si crede che basti diventare famosi sui social e la vita è risolta. Sordi ha fatto la gavetta partendo dall’avanspettacolo, dai fallimenti, dalla frustrazione".

Anche lei ha fatto gavetta?

"Ho fatto spettacoli in cui montavo io la scenografia, restavo sveglio fino alle quattro del mattina a fare le prove luci, e caricare e scaricare scenografie dal furgoncino. Tutto gratis".

Che cosa può dire di 'Freaks Out' di Gabriele Mainetti, l’autore di 'Lo chiamavano Jeeg Robot' in cui lei ha trionfato, e con cui ora è tornato a lavorare?

"È un film nel quale mi metto in gioco: e se uno non rischia, non si mette in gioco, non capisco perché voglia fare l’attore. Non si fa l’attore giocando sul sicuro".

In 'Freaks Out' lei avrà un ruolo che ricorda gli 'X-men' ma all’italiana…

"Sì, sarò una specie di uomo-lupo, ma non posso dire altro. Se non che Gabriele Mainetti, il regista, ha alzato l’asticella ancora più che in Lo chiamavano Jeeg Robot. Sarà un evento sorprendente per tutto il cinema italiano".

Protagonista assieme a lei sarà Pietro Castellitto, figlio di Sergio, adesso lanciatissimo, protagonista nel ruolo del Capitano nella fiction Sky su Totti e regista esordiente alla Mostra di Venezia. Che caratteristiche ha come attiore?

"Quando penso a Pietro penso al vento, alle nuvole, all’aria, ai fuochi d’artificio. Pietro è un attore che ti sorprende sempre, ha una grande capacità di reazione e di improvvisazione".

Ha da poco finito di girare una serie tv in Sicilia…

"Sì, è una serie – il cui titolo provvisorio è Inchiostro contro piombo, diretta da Piero Messina, Ciro d’Emilio e Stefano Lorenzi – che racconta la vicenda del giornale L’Ora. Io interpreto il direttore di quel giornale dal 1955 al 1975, Vittorio Nisticò. Prese quel giornale e ne fece il primo baluardo contro la mafia. Fu una vera rivoluzione culturale a Palermo: ed è una rivoluzione il fatto che si racconti di eroi positivi e non di criminali".

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