Mercoledì 24 Aprile 2024

Santa Sofia moschea, la Storia dalla sua parte

Dopo il Papa, anche Putin critica la svolta turca. Ma Ankara ribadisce: "Non accettiamo interferenze sulla nostra sovranità".

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di Franco Cardini

Quella di Santa Sofia non è una storia: è un romanzo. Haghia Sophia venne fondata verso il 330 da Costantino come basilica imperiale della sua Nèa Ryme, la “Nuova Roma”. Avrebbe dovuto essere Megàle Ekklesìa, grande chiesa, e Mater Ecclesiarum, modello per tutti i templi di quella nuova fede alla quale non era nemmeno certo che il sovrano appartenesse davvero. Fu difatti modello per edifici come San Vitale di Ravenna e come la moschea della Roccia a Gerusalemme, edificata da un califfo umayyade ma con architetti bizantini e maestranze cristiane. In seguito sopportò sismi e incendi, fu quasi ricostruita dalle fondamenta dall’imperatore Giustiniano, lo stesso che restaurò anche il sistema giuridico dell’impero. Per quasi nove secoli vi si adorò ininterrottamente il cristo come “Santa Sapienza” (la “Somme Sapienza”, dice Dante); quindi, fra 1204 e 1261, i crociati e i veneziani la profanarono e la trasformarono in chiesa cattolica: senza grandi mutamenti tuttavia, a parte lo Spirito Santo che secondo i cattolici procede dal Padre e dal Figlio e secondo gli ortodossi solo dal Padre. Tornò ortodossa nel 1261, con l’impero “neobizantino” dei Paleologhi, e infine, nel 1453, fu conquistata insieme con al città dal sultano ottomano Mehmed II che la trasformò in moschea con la semplice aggiunta del mihrab, la nicchia di preghiera orientata verso la Mecca, e i quattro minareti sultaniali.

Restò moschea fino al 1935, vedendo trascorrere i cinque secoli dell’impero ottomano e quindi i primi lustri della repubblica laica, progressista, militarista ed europeizzante del ghezi (“duce”, in turco) Mustafa Kemal Atatürk, per volere del quale nel 1935 fu sconsacrata e ridotta a museo. Non si dimentichi che nel parlamento repubblicano turco fino a poco tempo fa, al pari di quello messicano dei tempi di Carranza, il solo pronunziare il nome di Dio era considerato delitto.

Oggi, Santa Sofia torna alle sue funzioni antiche di mezzo millennio, come edificio sacro ad Allah. E torna alle sue funzioni di oltre un millennio e mezzo, come edificio sacro al Dio di Abramo, di Mosè, di Gesù e di Muhammad. A quanto sembra le infrastrutture necessarie per farla tornare moschea saranno pochissimo invasive, quasi per nulla evidenti. Tutto il resto sarà come prima. L’apparato museale resterà intatto, le pitture e i mosaici cristiani anche. Le visite turistiche saranno assicurate come avviene anche nelle chiese cristiane d’arte, vale a dire nel tempo libero dalle funzioni religiose (che non è poco, in quanto la liturgia musulmana è molto più semplice di quella cristiana). Unica vera e propria innovazione, non ci sarà più ingresso a pagamento: esso è giudicato disdicevole in un luogo sacro.

Manterrà le sue promesse, il presidente “neo-ottomano”? È molto probabile. Egli non ha alcun interesse né a perdere i turisti, né a inimicarsi ulteriormente l’opinione pubblica kemalista del suo paese che è forte e non ha mandato troppo bene giù la notizia della risacralizzazione dell’edificio. Quanto ai cristiani ortodossi, va detto ch’essi non reagirono male neppure alla spoliazione del 1453: il loro patriarca Gennadios non esitò a dichiarare che il turbante del turco infedele era comunque preferibile alla tiara dello scismatico vescovo di Roma. La bella proposta del patriarca armeno, che nell’edificio restituito alla religione ci sia posto anche per il culto cristiano, appare purtroppo oggi lontana dal poter essere accolta: se i tempi fossero maturi per questo, gran parte dei problemi del mondo odierno sarebbero risolti.

Meno comprensibile appare francamente il malumore di una parte del mondo occidentale. Lasciamo perdere i cattolici strumentali, quelli dei rosari recitati in pubblico eccetera: sappiamo di che pasta è la loro fede. Ma gli stessi credenti e praticanti seri lasciano un po’ perplessi quando esprimono amarezza o dispiacere. Qualcuno ha avanzato provocatoriamente l’idea di una possibile restituzione di Santa Sofia al culto cristiano, magari come premessa alla restaurazione di esso in tutti gli edifici che nella storia sono diventati moschee. Un progetto ardito, se si cercasse di metterlo in pratica: sul piano della reciprocità, saremmo disponibili a restituire al culto islamico le cattedrali di Palermo, di Córdoba e di Siviglia?

Vi sono poi le preoccupazioni, legittime, di chi si aspetta un altro passo in avanti nella politica filofondamentalista di Erdoğan, con tutte le implicazioni odierne nei confronti del mondo musulmano e indirettamente di quello occidentale. Senza dubbio il rischio c’è: ma questa, come direbbe il vecchio Kipling, è un’altra storia.

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