L’amica Orietta ne ha uno in più, ma amen. Iva Zanicchi non ha esitazioni nel parlare del suo undicesimo Sanremo come di quello definitivo. "Nei panni di concorrente è di sicuro l’ultimo", ammette. "Sto benissimo, ‘Voglio amarti’ è una gran bella canzone, quindi, le condizioni per chiudere bene ci sono tutte. In qualche modo lo devo al Festival e alla mia storia, sono nata su quel palco". Scoprì Sanremo davanti al televisore dell’osteria di Vaglie di Ligonchio. "Sì, in paese a quel tempo le tv erano due, quella del prete e quella dell’osteria della signora Pallati. Noi andavamo all’osteria perché il clima era più vivace. Ricordo che davanti al trionfo della Pizzi io, in piedi sulla sedia e con la voce rotta dal pianto, gridai: un giorno li ci sarò anch’io lì e vincerò il Festival di Sanremo. Per tutta risposta mia madre Elsa mi rifilò un ceffone e poi si si rivolse ai compaesani dicendo: scusatela, è peggio dello zio Giovanni che voleva diventare Papa e non era nemmeno prete". Come le era venuta la voglia di palcoscenico? "A Vaglie l’Enel che al tempo si chiamava ancora Edison, ogni anno regalava alla comunità uno spettacolino in piazza. Ero una bambina, ma la passione per il palco arrivò subito. A dirigere era un giovane Ermanno Olmi di cui m’innamorai seduta stante". Nel 1965 arrivò il suo primo Sanremo. Esclusa. Visto che oggi l’eliminazione è stata eliminata, la reputa un’inutile crudeltà? "Più che cantare, quella prima volta belai per l’emozione. Per gli artisti la gara ad esclusione non é piacevole, ma ai fini dello spettacolo credo sia molto accattivante. Sangue e arena. Ricordo che nel mio secondo Festival, quello in cui cantavo ‘La notte dell’addio’ di Memo Remigi, buttarono fuori addirittura Celentano con ‘Il ragazzo della via Gluck’. Però ...
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