Sanremo, 8 febbraio 2023 – “Ragazzi fragili, soli, senza diritti e futuro”. Non ha parlato di sé, Francesca Fagnani ha usato le parole di chi non ha più voce, rinchiuso in un carcere minorile, quello di Nisida. È stato un lucido monologo quello andato in scena in tarda serata nella seconda serata del Festival, era atteso e tutti si chiedevano di cosa avrebbe parlato la giornalista antimafia dopo la serata strappalacrime della Ferragni. E, da giornalista quale è, Francesca ha fatto parlare loro: i ragazzi del carcere minorile di Nisida. Ha affrontato temi scomodi per un palco nazional popolare quel è Sanremo, ha parlato di “dispersione scolastica, povertà educativa, pari opportunità per i giovani”. E lo ha fatto facendo parlare proprio loro, quei ragazzi minorenni rinchiusi in una cella dove il buio oscura il futuro. Ha criticato Nicola Gratteri riferendosi a lui come "un autorevole magistrato, al quale dobbiamo essere grati, per le inchieste importantissime che coordina" che "questa estate in un'occasione pubblica ha detto di essere contario a uno schiaffo in caserma perche' il detenuto non deve essere toccato nemmeno con un dito per tanti motivi, sopratutto perche' non deve passare per vittima". Per la giornalista invece non è questo il motivo per cui non dovrebbe essere toccato. "Chi esce dal carcere deve uscire meglio di com'e' entrato, per rispetto dell'articolo 27 della Costituzione. Uno spacciatore o un ladro che sia, una volta uscito, deve cambiare mestiere. “Non tutte le parole sono uguali – ha detto la giornalista iniziando il monologo, costruito come fosse un’intervista a più voci – le parole devono abbattere le pareti, i muri, le grate del carcere di Nisida”. Parole scritte insieme ai ragazzi che stanno scontrando la loro pena. Il reato quasi non conta, qualcuno lo ha commesso per noia o per soldi, quello che pesa è un destino che sembra segnato dalle periferie più lontane. “Rubare non è il mestiere mio”, un frammento raccolto tra le sbarre, “della nostra pena non ce ne facciamo niente”. E poi le domande, che rimbalzano tutte uguali. “Non avevi paura di morire? Perché l’hai fatto? Non hai mai pianto?” E poi il racconto di uno Stato che non sa mettere piede in periferia per stare vicino agli ultimi, a padri e padri che non ce l’hanno fatta. “Chiedono aiuto senza sapere a chi. Cosa cambieresti della tua vita? Sarei andato a scuola. Se nasci in quel quartiere, in quel palazzo, in quella vita, è solo tra i banchi di scuola che puoi uscirne. La scuola l’hanno abbandonata, ma nessuno li ha cercati, neppure gli assistenti sociali che sono troppo pochi per quelle periferie”. Francesca Fagnani non ha usato mezzi termini, diretta come sempre. Ha “bacchettato” lo Stato, che non è capace di aiutare i giovani come loro. Ha puntato il dito contro le carceri che non riabilitano e i pregiudizi che ostacolano la costruzione di una nuova vita. La giornalista ha parlato delle disumane condizioni delle carceri minorili, dei pasti cucinati in cella, i piatti lavati nello stesso lavandino dove si lavano i denti, sopra la tazza del wc. Cose vere: “Le racconto perché le ho viste”. E poi la chiusa, l’urlo silenzioso di suoi ragazzi: “Vogliamo che la gente sappia che non siamo animali, non siamo bestie, vogliamo che ci conoscano” per come siamo realmente.