San Patrignano, l’avventura di una comunità

Arriva su Netflix la docu-serie in cinque puntate. Prima produzione italiana, distribuita in 190 Paesi

La lunga, controversa, appassionante storia della comunità di San Patrignano: è così, raccontando questa vicenda, che Netflix debutta con la prima docu-serie originale italiana. Il titolo è SanPa: luci e tenebre di San Patrignano e sarà disponibile da oggi in 190 Paesi.

Il titolo tocca subito il cuore (e il nervo scoperto) dell’esperienza avviata nel 1978 da Vincenzo Muccioli sulle colline romagnole: una discussa comunità di rehab, recupero dalle tossicodipendenze, vista da molti come un paradiso e da altri come un cupo inferno pieno di nefandezze. E tutto questo in quegli anni Settanta in cui i giovani erano divisi esattamente in tre: quelli di sinistra che volevano cambiare il mondo, quelli di destra che volevano tornasse indietro e avevano come riferimento la tradizione, e infine quelli, forse i più aristocratici, che volevano solo distruggersi essendo poco interessati alla realtà.

"Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di neri all’alba in cerca di droga rabbiosa, hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte...", così cantava Allen Ginsberg, uno dei padri della Beat Generation, nell’Urlo.

La docu-serie racconta in cinque puntate la vita, i successi, i fallimenti, le accuse, i processi – insomma tutta la movimentata storia della comunità insediata a Coriano (Rimini) – attraverso testimonianze e immagini di repertorio. Puntata dopo puntata, ecco il ventennio di gestione da parte dello stesso Muccioli, dalle origini, nel 1978 fino al 1995, anno della sua morte, avendo ben presente il contesto sociale, economico e politico dell’Italia. Perché tanta bufera mediatica e processuale su Muccioli? Uno dei motivi, quello più importante, riguardava i suoi metodi terapeutici, le modalità con cui i pazienti venivano tenuti lontani dalle droghe.

Due esempi su tutti: l’uso delle catene per il recupero delle vittime della tossicodipendenza e i numerosi episodi di violenza all’interno della comunità, sfociati spesso in procedimenti giudiziari. Muccioli dovette affrontare due processi: il primo nel 1985, quando fu condannato per sequestro di persona e maltrattamenti per avere incatenato alcuni giovani della comunità (il cosiddetto Processo delle catene); il secondo nel 1994, quando fu condannato a otto mesi per favoreggiamento (con la sospensione condizionale della pena), ma fu assolto dall’accusa di omicidio colposo per l’assassinio, avvenuto in comunità, di Roberto Maranzano.

La docu-serie è stata realizzata con venticinque testimonianze, 180 ore di interviste e con immagini tratte da 51 differenti archivi. La regia è di Cosima Spender. Il lavoro è una Produzione 42, con produttori esecutivi Gianluca Neri, Nicola Allieta, Andrea Romeo e Christine Reinhold. La serie è stata scritta da Carlo Gabardini, Gianluca Neri e Paolo Bernardelli.

b. b.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro