Salon Kitty, il nazi-bordello era un covo di spie

La vera storia della casa di tolleranza berlinese con le ragazze addestrate a carpire i segreti dei clienti. Galeazzo Ciano non cadrà nella trappola

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"Basta che tu lo voglia, Reinhard. L’idea è meravigliosa", esclama la signora nel bar dell’Hotel Adlon. Lei è Frau Schmidt, una bella donna dai capelli rossi sulla cinquantina. Lui è Reinhard Heydrich, alto un metro e 90, il capo delle SS. Così nacque il celebre, malfamato Salon Kitty, l’Edel-Puff, il bordello esclusivo di Berlino, il Nazi Bordell, trasformato in una centrale di spionaggio dal regime. Ma non è vero. Kittys Salon – Legenden, Fakten, Fiktion, non occorre tradurre, di Urs Brunner e Julia Schrammel (Berlin Story Verlag; 19,95 euro), racconta la verità, o quel che si può intuire fosse la realtà. Dimenticate il film di Tinto Brass (1976, in Germania furono tagliate diverse sequenze), un softporno, tra reggicalze e svastiche. "Purtroppo siamo giunti in ritardo, questa ricerca doveva essere compiuta al più tardi una ventina d’anni fa, i testimoni sono quasi tutti scomparsi", si rammaricano gli autori.

L’idea fu certamente di Heydrich, che all’inizio pensava a un ristorante di lusso, affollato di belle donne. Il sesso è sempre servito come arma di controllo sotto ogni regime. Ho trascorso gli ultimi mesi della Ddr nel Palast Hotel, quando cadde il muro il portiere mi avvertì che chiudevano per qualche giorno. "Per le pulizie", mi spiegò. Avrebbero ripulito la mia camera, la 8684, delle cimici, i microfoni. Non ero così importante per essere ripreso dalle telecamere.

Il Salon Kitty si trovava nella Giesebrechtstrasse al numero 11, a due passi dalla Kurfürstendamm, gli Champs Elysée della metropoli. Un appartamento di lusso al terzo piano, 500 metri quadrati, nove stanze da letto, e 52 microfoni, un intrico di cavi fino alla centrale di ascolto in cantina. È una leggenda, come sospettano alcuni?

Katharina Emma Sophie Schmidt era nata a Amburgo nel 1882. A 18 anni emigra in Gran Bretagna come governante, sposa un console spagnolo, ha una figlia, Kathleen, il marito si toglie la vita, torna in patria alla fine della guerra nel 1918, a Berlino "dove il denaro si trova per strada", le ha scritto la sorella. Durante la tragica inflazione, a Berlino le prostitute sono 120mila, Kitty deve sopravvivere con una figlia adolescente. Ha fascino, è intelligente, grazie ai contatti di quegli anni, apre una Künstlerpension, una pensione per artisti, per salvare le apparenze.

All’inizio del ’39, Kitty apre la Pension Schmidt nella Giesebrechtstrasse, un bordello di lusso. Tenta di contrabbandare valuta in Inghilterra, e il 28 giugno viene arrestata al confine con l’Olanda. Per non finire in un lager per un paio d’anni, cede al ricatto di Walter Schellenberg, che sarà l’ultimo capo del controspionaggio di Hitler, ed esegue gli ordini di Heydrich. Vengono selezionate una ventina di ragazze, addestrate per carpire segreti ai clienti.

Galeazzo Ciano, ministro degli esteri e genero di Mussolini, tornerà diverse volte al Salon Kitty, è troppo accorto e non cade nella trappola. Altri clienti, diplomatici, politici, e gerarchi nazisti sono meno prudenti. Le registrazioni in cera su decine di dischi sono scomparse, si sospettava fossero finite nella Ddr, ma non se ne è trovata traccia dopo la riunificazione. Sono a Mosca?

Schellenberg, dopo la guerra, è il primo a rivelare questa storia, a cui dedica tuttavia appena una pagina. Muore a 42 anni a Torino, nel 1952. Kitty scompare due anni dopo, a 72 anni. Il film di Brass, con Ingrid Thulin come Kitty e Helmut Berger nella divisa di Schellenberg, si basa sul romanzo di Peter Norden uscito nel 1970, che vendé cinque milioni di copie, un’opera di fantasia, zeppa di fatti non controllati e di pettegolezzi.

"Almeno Ingrid Thulin nel film di Brass non faceva torto a Kitty. Era vero che tenesse all’eleganza, e soprattutto non era una nazista", riconoscono Urs Brunner e Julia Schrammel. I vicini di casa la ricordano come una signora gentile, trattava le sue ragazze in modo materno. Era amica di cinque coinquilini ebrei, e cercò di aiutarli. Nel ’43, Kitty assunse sotto falso nome Rosalie Janson, una ragazza ebrea, e la mise a lavorare in cucina, paradossalmente non c’era luogo più sicuro di un appartamento sotto il controllo della Gestapo. Una Kitty che rischia per salvare gli ebrei è un particolare che disturba la storia romanzata, sesso e croci uncinate. L’ex ambasciatore a Bonn Mario Luciolli (1910-1988), dal 1940 al ’42 era segretario d’ambasciata a Berlino, nelle memorie Anni roventi racconta le sue visite al Salon: c’era un’atmosfera familiare, le ragazze per passare il tempo lavoravano a maglia.

Nel ’43, l’appartamento fu colpito da una bomba. In 15 giorni, Kitty riuscì a trasferirsi al primo piano, e a riaprire il Salon, una prova dei suoi mezzi finanziari, e degli appoggi di cui godeva. La Gestapo aveva un registro con una quarantina di bordelli tollerati, e dimentica Kitty. Un silenzio eloquente. Dopo la guerra, continuò a mandare avanti la Pension Florian, che alla sua morte passò alla figlia Kathleen. Il museo dello spionaggio a Berlino aprirà una sezione dedicata a Frau Kitty e alle sue ragazze.

 

 

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