Venerdì 19 Aprile 2024

Romanov e Goethe al Grand Tour dell’Italia

Dal futuro zar (in incognito) allo scrittore: una mostra a Milano celebra i fasti dei viaggiatori tra Sette e Ottocento nel Belpaese

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di Anna Mangiarotti

Grand “touristi”, pochini in passato. Ma se oggi – Covid permettendo – il turismo risulta per giro d’affari la più grande industria del mondo, più di quella delle armi, a incoraggiare il fenomeno sono stati tra fine Seicento e metà Ottocento quei primi protagonisti dell’Occidente cosmopolita. Poterli conoscere, un vero piacere nelle sale loro dedicate della mostra “Grand Tour. Sogno d’Italia da Venezia a Pompei”.

Sogno di un Paese unito da esemplare bellezza, arte, ambiente, memoria del passato, gioia di vivere. Un incantesimo. Percepito da viaggiatori entusiasti alla vista di antiche rovine, o persino di rugose zingare caravaggesche profetesse de bonne aventure. Sogno ricreato alle Gallerie d’Italia-Piazza Scala, museo di Intesa Sanpaolo a Milano (fino al 27 marzo), accarezzando anche la Sicilia.

L’isola degli sposi Venere e Vulcano, che vi tiene l’officina, si erge dal mito nell’abbagliante acquerello del giacobino Ducros: Temporale notturno a Cefalù. Sole rosso dietro nuvole cupe, fulmine, incendio, mare in tempesta, 1800 circa. Andarci era diventato consigliabile solo dal 1786, con l’istituzione dei “pacchebotti” (da packet-boat) sulla rotta Napoli-Palermo: battelli armati contro gli attacchi dei pirati nordafricani. Grazie al servizio, l’anno successivo arriva Johann Wolfgang von Goethe. E proclama: "L’Italia, senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. In Sicilia, la chiave di tutto".

L’Italienische Reise del grande letterato tedesco e il romanzo Corinne ou l’Italie, tour della poetessa Corinna e di un aristocratico scozzese nella penisola, successo planetario di Madame de Staël, sono gli incomparabili documenti del Grande Viaggio. Da Goethe intrapreso a 37 anni. Ma nell’immenso ritratto in mostra lo vediamo ultrasettantenne. Alle spalle il golfo di Napoli, taccuino e penna in mano. Sta in piedi sulla collina di Posillipo dove la presunta tomba di Virgilio lo avrebbe fatto riflettere sulla morte. Così lo vuole rappresentare Heinrich Christoph Kolbe. "No comment", il verdetto implacabile del modello. Fece di tutto per disfarsi del dipinto. D’accordo. Lo sguardo del visitatore incrocia più volentieri i sorrisi.

Vedi la spagnola Isabel marchesa de Llano, appassionata del carnevale di Parma: vestita da maschera, resiglia in capo. E i bambini Tolstoj: in gita nel 1855 a Venezia con tutta la famiglia (lontani parenti del romanziere Lev). E la marmorea granduchessa Marija Fëdorovna, giudicata mai alla moda: lei e il marito granduca Paolo Petrovic Romanov, futuro zar, sperano di non dar troppo nell’occhio; viaggiano sotto il nome “conti del Nord”, alloggiano in alberghi, a letto presto. Eppure la Serenissima per loro anticipa il Carnevale 1782.

Non pochi i colti nobili russi in trasferta, per shopping, studi, e luna di miele: magnifici Nikolaj Guriev, pennellato da Ingres, e Nikolaj Jusupov, il più esperto collezionista d’arte italiana. Lo cita il direttore dell’Ermitage Michail Piotrovskij, orgoglioso pure di aver prestato l’autoritratto della pittrice francese Élisabeth Vigée Le Brun: "Donna straordinaria entrata a far parte delle Accademie di Bologna e Parma". Ma non solo l’élite, per cui aveva un valore iniziatico: tra Sette e Ottocento, il Grand Tour in Italia era intrapreso da letterati, artisti e musicisti ma anche da uomini di chiesa provenienti oltre che dall’Europa e dalla Russia, dall’America: in mostra a Milano incontriamo quelle opere, paesaggi, vedute, ritratti, scene di vita, riproduzioni di monumenti antichi, commissionate o acquistate dai collezionisti stranieri che intendevano portare con sé il “sogno d’Italia” e celebrare quanto avevano ammirato.

Riflettori, ovvio, accesi sulle quattro italiche capitali. Senza però cadere nei luoghi comuni. Tra i 130 dipinti, sculture e raffinatissimi souvenir, distribuiti nell’esposizione, chiaro che touts les chemins mènent à Rome. Ma stupiscono le vedute dei Fori e di Piazza san Pietro in impercettibili tessere di mosaico, 1854. E una limpida panoramica del bacino di san Marco, 1697, rende ancor più odiosa l’invasione delle moderne navi da crociera. E se di Napoli s’insiste a mostrare il Vesuvio, emoziona l’eruzione alla luce della luna, 1774 circa, unicum di dimensioni eccezionali. Tra fasti e vertigini degli itinerari, il curatore Fernando Mazzocca non dimentica neppure l’Arrotino in porcellana Ginori 1784. L’originale, marmo del II sec d.C., era ammiratissimo nella Tribuna degli Uffizi: a Firenze, l’incipit indiscusso del Grand Tour.

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