Martedì 23 Aprile 2024

Rimini, balere, poker, demoni Padre e figlio in cerca di grazia

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Avere tutto. "Già da bambino: la nonna che mi regala duecentomila lire per la comunione, in una busta con un biglietto di auguri. Li tiro fuori, il batticuore, la certezza di poterne avere altri, di poter avere tutto". Sta in questa continua tensione tra la pulsione all’infinito e la ricaduta nei limiti – normali, estremi, umani – della vita, l’ultimo romanzo di Marco Missiroli, ambientato nella Rimini fuori stagione della sua infanzia e della sua giovinezza ("Chissà perché a Rimini i gabbiani non urlano mai"). Il protagonista Sandro ritorna nella sua città da Milano per stare col padre Nando: si ritroverà ad assisterlo – figlio che diventa padre del padre – nelle sue ultime ore. Il viaggio sentimentale di Sandro in famiglia è un tutt’uno con la scrittura scelta da Missiroli: poche parole e dense, quelle in dialetto sono la terra dell’orto di città, della boscaglia attorno al casolare di Montescudo dove Nando scolpisce i sassi rubati alla chiesa diroccata. Orfani di moglie e mamma, padre e figlio condividono l’ebrezza e la dannazione d’essere posseduti da due ossessioni di infinito, di possibilità di libertà da confini e miserie: per il padre è la passione per il ballo, per il figlio è la passione per il gioco d’azzardo, la balera e le carte, le carte forse lievemente più pericolose della balera. È lì – in quelle esistenze deformate dal furore provinciale ed eroico della trascendenza di sé – che entrambi possono avere tutto, la gioia come la rovina. Ma è proprio a quell’“altra“ libera esistenza che occorre una delimitazione per far sì che prenda respiro la vita non gloriosa, ma vera. E il limite è l’amore: amracumand, mi raccomando, detto da un padre a un figlio.

cdc

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