Mercoledì 24 Aprile 2024

Rigoni Stern, i segreti di un "non-scrittore"

L’archivio privato dell’autore de “Il sergente nella neve“: fra manoscritti, diari e le lettere di Primo Levi anche inaspettati racconti giovanili

Mario Rigoni Stern

Mario Rigoni Stern

Mario Rigoni Stern seppe della morte di Primo Levi da un giornalista del Resto del Carlino. Era l’11 aprile 1987. Il cronista chiamava per avere un ricordo dell’amico, ma Rigoni Stern ancora non sapeva. Non disse nulla, attaccò la cornetta e si buttò nel bosco. "Nemmeno il bosco – avrebbe poi scritto – mi ha ridato serenità. Alla sera ho ripreso in mano i suoi libri, e ho singhiozzato come un bambino. Non era malinconia, era disperazione. Ho continuato a rivederlo. Lo rivedo spesso, Primo, sul sentiero dietro casa dove, quel giorno di tanti anni fa, erano passati i caprioli".

Era un’amicizia forte, nata fra uomini già maturi, quella che legava l’alpino di Asiago, autore de Il sergente nella neve, potente memoir sulla tragica ritirata di Russia nell’inverno fra 1942 e ’43, e il chimico di Torino, testimone di Auschwitz, autore di Se questo è un uomo, uno dei capolavori del ’900. I due si conobbero all’inizio degli anni ’60, senza più perdersi: si scrivevano, si vedevano almeno una volta l’anno.

Rigoni Stern, morto nel 2008 a 87 anni, non ha mai voluto pubblicare le lettere ricevute dall’amico, ma un modo di consultarle presto ci sarà, visto che il Comune di Asiago ha ricevuto in donazione dalla famiglia Rigoni Stern (la moglie Anna, i figli Ignazio, Gianni e Alberico) l’archivio privato dello scrittore e sta lavorando per metterlo a disposizione di tutti: "Sarà in una sala dedicata della biblioteca civica", assicura il sindaco di Asiago, Roberto Rigoni Stern, lontano parente dello scrittore.

Fra le molte carte, censite dall’archivista Ilaria Zacchilli, ci sono proprio le lettere di Primo Levi. Sono in mezzo a molti altri tesori, tutti provenienti dallo studio di Mario: lettere, agende, manoscritti, dattiloscritti, appunti, cartoline.

Rigoni Stern non si sentiva un letterato, accettava semmai d’essere definito “narratore“: "Mi considero sempre un non-scrittore – disse in un’intervista – Preferisco fare lavori manuali, piuttosto che scrivere". Non era del tutto vero. Seppure impiegato del Catasto, Rigoni Stern era in effetti un uomo di montagna, alpinista e cacciatore. Ma il suo archivio segnala un’attitudine alla scrittura di vecchia data. "Abbiamo trovato fra le sue carte, con stupore – dice il figlio Alberico – prove di scrittura di quando era poco più di un ragazzo".

In due diverse occasioni, nel ’91 e nel ’95, Rigoni Stern inviò al Centro manoscritti di Pavia i materiali di lavoro delle sue opere principali: Il sergente nella neve, Il bosco degli urogalli, Quota Albania, Storia di Tönle, Ritorno sul Don... Ilaria Zacchilli è convinta però che ad Asiago resterà il "vero archivio" Rigoni Stern: "Vero nel senso che raccoglie tutto il suo mondo di uomo e di scrittore, la trama della sua esistenza. A Pavia ci sono materiali importantissimi, ma è più una collezione". Difficile darle torto. Nella biblioteca civica sull’Altipiano, appena ultimata l’archiviazione (fra qualche mese), ci sarà davvero tutto il mondo di Rigoni Stern: i documenti e le foto di famiglia; la posta militare fino al ’45, compresi gli scambi coi genitori durante la prigionia nel campo di Präbichl in Germania; le agendine degli anni 1939, 1940, 1942; 19 quaderni manoscritti dal ’42 all’80; 36 testi ancora da analizzare (fra cui un tentativo interrotto di riscrittura del Sergente e due racconti inediti del ’50).

Elio Vittorini, quando pubblicò Il sergente nella neve nella collana “Gettoni“ dell’Einaudi, scrisse nel risvolto di copertina: "Mario Rigoni Stern non è scrittore di vocazione...". Coglieva la forza e l’immediatezza del racconto e credeva che fossero il frutto irripetibile dell’esperienza estrema compiuta dall’autore in Russia, ma si sbagliava. Rigoni Stern è ormai riconosciuto come uno dei maggiori scrittori del nostro ’900. È anche stato – certo – un grande testimone della parte peggiore della nostra storia. Un po’ come Levi e come Nuto Revelli, altro scrittore non-scrittore, anche lui scampato alla tragedia dell’Armir.

Levi dedicò ai due una poesia: "A Mario e a Nuto. Ho due fratelli con molta vita alle spalle nati all’ombra delle montagne. Hanno imparato l’indignazione nella neve di un Paese lontano, e hanno scritto libri non inutili. Come me hanno tollerato, la vista di Medusa, che non li ha impietriti. Non si sono lasciati impietrire dalla lenta nevicata dei giorni". L’originale, in una lettera all’amico Mario, è ora nella biblioteca di Asiago.

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