Riaprire i cassetti del tempo E scoprire d’essere fragili

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Un cellulare che trilla. Sul display appare scritto papà. E fin qui non ci sarebbe nulla di male, se non fosse per il fatto che il padre di Michelangelo Borromeo, il libraio antiquario placido e solitario protagonista de Il figlio del direttore, in realtà è morto da anni. Nulla di soprannaturale, forse. In ogni caso è questo l’avvio di una catena di eventi in bilico tra il grottesco e il surreale che porteranno il lettore senza troppe difficoltà fino all’ultima pagina.

È un viaggio a tappe forzate nel passato del protagonista, il cui percorso di vita porta agli eccessi di fragilità che però tutti, nel nostro piccolo, sappiamo di avere. Così dal vaso di pandora dei ricordi ecco spuntare incomprensioni infantili, difficoltà adolescenziali, amori perduti, occasioni sprecate e tutte quelle ansie che soltanto l’età può placare e placa.

A meno che, appunto, una telefonata apparentemente impossibile non riapra i cassetti del tempo… Questo succede nel romanzo in questione. Ne nasce un racconto corale, dominato da personaggi improbabili, macchiettistici e dilettevoli, pur senza pretese, che accompagneranno il protagonista a disvelare le nebbie troppo a lungo protagoniste della sua infanzia.

Simone Arminio

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