Red Canzian, il racconto della malattia: "Potevo morire, per i medici sono un highlander"

L'ex Pooh: "Ora l’album più importante della vita. Mia moglie Bea, una roccia. Commosso dall'affetto di tutti". Dall'8 al 13 marzo a Torino con Casanova Opera Pop

Treviso, 6 marzo 2022 - Red Canzian, 71 anni, l’ex bassista e voce dei Pooh, ora è davvero ’libero’. Dimesso dall’ospedale dopo due mesi, il 4 marzo. Cosa ha avuto lo spiega lui stesso. Ha rischiato di morire per una brutta infezione. Giorni bui, neanche la forza di parlare. Il pensiero per l'amico Stefano D'Orazio, scomparso nel 2020, troppo presto. Oggi  Red Canzian è tornato più forte di prima. Un highlander, per i medici.  Da martedì al 13 marzo si potrà godere le repliche di Casanova Opera Pop, il suo kolossal musical-teatrale, di cui è autore e produttore, il regista è Emanuele Gamba.

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Casanova - pensato e composto nel blocco forzato della pandemia - ha girato l’Italia e ovunque ha fatto sold out. Il progetto ha coinvolto tutta la famiglia dell'artista. La figlia Chiara ha curato la direzione canti ed è resident director, il figlio Phil è arrangiatore e direttore musicale. La moglie Bea, produttrice insieme a Red, nella situazione d'emergenza ha supervisionato e fatto da collante tra i vari reparti dello spettacolo.

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Due mesi di ospedale, la paura di morire. Red Canzian, ha fatto preoccupare tutti. Come sta? “Bene, la voce è tornata, potente e squillante. Ho fatto un grande lavoro con la mia logopedista per reimpostare tutto quello che si era un po’ addormentato durante l’operazione. L’intubamento in qualche modo era andato a toccare anche le corde vocali“. Cosa le è mancato in questo tempo? “Non vedevo l’ora di tornare alla vita. Mi mancava proprio l’aria. Nonostante l’eccellenza dell’ospedale, nonostante il conforto di medici, infermieri, assistenti, del professor Giuseppe Minniti che mi ha operato... Tutte persone straordinarie. Ma io avevo proprio bisogno di uscire, di vedere il verde, il cielo, di respirare. Mi hanno riaperto il petto ed è stata la seconda volta“. Anche nel 2015 vivo per miracolo, ha avuto la dissecazione aortica. “Quando ti aprono il torace con i divaricatori, creano micro fratture alle costole. E tu hai un male... Da pochi giorni non ho più dolori. Ma è stato terribile“. Con il primo video dall’ospedale ha commosso tutti. Quanto ha contato l’affetto che l'ha travolta? “Credo molto al pensiero positivo. Credo che tutto l’amore, le preghiere delle persone più impensabili mi abbiano aiutato davvero. Tony Bungaro, autore di canzoni importanti, mi ha scritto che pregava per me, pensare che ci vedremo una volta all’anno... Gigi D’Alessio mi ha detto cose bellissime. Ma quanti, quanti, quanti... Enzo Abitabile, ovviamente i miei colleghi“.  I Pooh e i fan. “Che non sono fan. Chi prega per te, ti ama oltre il lavoro. E io li sento così. Tutto questo è stato molto terapeutico. Mi dicono che sono un highlander. I medici non ci credevano. Mi alzavo, andavo a camminare... Però io ho troppo amore per la vita per riuscire ad abbattermi. Poi il destino ti fa degli scherzi che non puoi sempre controbattere come vorresti. Se penso che sono stato ricoverato nel giorno in cui cominciavano le prove del mio terzo figlio...“. Parla di Casanova Opera Pop? “Tre anni di preparazione. C'è una crudeltà in certe cose che il destino ti metti davanti. Ti conviene non cercare una spiegazione. Accetti, combatti con le tue armi, devi farcela“. I medici le hanno dato il permesso di assistere allo spettacolo, quando era ancora ricoverato in ospedale.  “È stato il 22 febbraio, la prima a Treviso di quattro date assolutamente sold out. Mi viene la pelle d’oca a raccontarlo. Ho pianto, nascosto nel palchetto reale dove non mi vedeva nessuno. Poi tra primo e secondo tempo mi sono affacciato, ho avuto un applauso infinito, mi sentivo mancare da quanto è andato avanti".

Ci è tornato.

"L’ultimo giorno. Ho rivisto lo spettacolo con occhio professionale e mi è piaciuto ancora di più. Rientravo entro mezzanotte in ospedale come Cenerentola, mi riattaccavano subito la flebo“. Da spettatore che giudizio ha dato? “Un capolavoro di incastri, avevo visto le prove, non pensavo venissero così. Non avevo visto i costumi, le luci finite, il ghiaccio secco che crea la nuvola per terra sul palco. Vederlo tutto insieme, senza pause, tutto legato così è stato pazzesco. Non esiste uno spettacolo al mondo con trenta cambi di scena“. Ha alle spalle 50 anni di Pooh e grandi sperimentazioni con gli effetti speciali. “Nebbia, laser... Devo dire che in questi lavori ero molto protagonista. Sono geometra prima di essere un Pooh, disegnavo i palchi. Io e Stefano (D’Orazio, ndr) passavamo le notti a capire come fare le cose. Ogni tanto ci provava anche lui a disegnare. Poi veniva da me e mi chiedeva, ma secondo te sta in piedi? Gli rispondevo, secondo me ci arrestano, crolla“. Ride. “È sempre andata bene“. Quanto conta l’innovazione? “Io non posso immaginare la mia vita che si ripete sullo stesso binario, alla stessa velocità, con lo stesso tempo. Devo avere stimoli continui“. E come immagina il futuro? “Voglio scrivere il mio album più importante. Perché grazie a Casanova, mi sono reso conto di quante sfumature di colori abbia la mia creatività musicale. Voglio fare un libro disco. Partendo da questa drammatica esperienza. Raccontare quanto vale riuscire a scendere dal letto in ospedale per la prima volta, sentire il rumore dell'acqua sulle mani. E avere voglia di andare avanti“. Casanova è un progetto di lavoro e di vita, ha riunito la famiglia. "Ho cominciato a farlo, Philip veniva in studio da me, sentiva e mi diceva, dammi il pezzo che provo ad arrangiarlo. E mi portava l’arrangiamento perfetto. Poi arrivava Chiara e le dicevo, amore, fai tu la voce della contessa o quella di Francesca. E lei mi ha fatto tutte le voci femminili“. Siete una famiglia allargata. Chiara è nata dal suo primo matrimonio, Phil da quello di sua moglie, Beatrice Niederwieser.  “Mia moglie Bea si è trovata un marito che stava morendo in ospedale. E lei doveva andare ad assistere alle prove di Casanova, era il primo giorno“. Ha avuto qualche dubbio? “Ha avuto un momento di disperazione, ma l’ha superato. Lei è una donna teutonica, molto forte. Si è messa a testa bassa, come ha sempre fatto nella sua vita.  È rimasta orfana a undici anni, ha fatto da mamma alla sorella più piccola, a 17 anni lavorava già. Io mi stupivo, era alle prove poi in ospedale".

Dolore e forza.

"Era a Milano, a fare le aperture dei primi tre giorni poi tornava da me, e alla fine rientrava a Milano a fare la chiusura. L’altra sera sul palco ho detto, è la donna più multitasking che conosca. Aveva un peso nel cuore, non c’era niente di sicuro, non potevamo sapere che sarebbe andata in questo modo. Oggi siamo qui a parlarne sereni ma potevo morire“. È cambiato tutto in un secondo. Cosa ricorda di quei momenti? “Non riuscivo ad alzarmi dal letto. Avevo un po’ di febbre. Ho pensato al Covid, mi sono fatto un tampone subito ma era negativo. Mi sono detto, sarà l’influenza, sarà un momento di stress. Ho tentato di alzarmi, sono caduto per terra, ho sbattuto la testa. Sembrava un film di Dario Argento“. C’era qualcuno con lei? “No, erano tutti alle prove dello spettacolo. A un certo punto mi hanno chiamato e si sono accorti che dicevo cose non coerenti, non lucide, ero come drogato, emboli che erano partiti anche nella testa, un disastro“. Come Pooh siete stati anche quelli del rock no war. Iniziative benefiche come i parchi giochi per i bimbi della Bosnia. Ci risiamo, con l’invasione dell’Ucraina. Quando c’è la guerra, l’arte che cosa può dire? “La guerra è esattamente il contrario dell’arte. Le guerre sono fatte tra gente che non si conosce, che si spara e si ammazza, comandate da gente che si conosce benissimo. L’unica cosa positiva della guerra è il giorno in cui finisce. Questo è un folle che vorrebbe riprendersi anche la Germania dell’Est“. Tornando indietro: hotel Roncobilaccio, sull'Autosole Bologna-Firenze, era il 1973. Lei arriva con la 1100 di papà e si esibisce nel provino della vita, i Pooh cercavano un bassista, Riccardo Fogli se ne sarebbe andato. Succede tutto in un magazzino, con la carta igienica accatastata. Cosa c’è in comune tra quel ragazzo e il Red Canzian di oggi? “La stessa voglia di fare, di sognare. Un po’ di capelli in meno. Non dico qualche chilo in più perché ne ho persi 12, quindi sono in perfetta forma. Il contenuto dell’anima è quello. Non mi sono mai seduto sugli allori. Quando sono entrato nei Pooh ho cominciato a proporre, a fare".

Cosa le torna in mente, ripensando all'inizio?

"Dopo due anni, avevamo preso un impianto luci che costava 23 milioni. Mi hanno dato del pazzo, guadagnavamo 600mila lire a sera in quattro. Però dicevo, bisogna fare così se vogliamo crescere. Nel '78 ho inventato il logo dei Pooh con Paolo, un amico, a casa mia. Poi è diventato un marchio di fabbrica. Dopo ho pensato che era importante il suono. Così dall’83 ho comprato studi di registrazione miei dove venivano i Pooh, oltre a Ruggeri, Fossati, Dalla e molti altri".

Quando tornerà sul palco? “Ho spostato un concerto in programma per il 4 marzo, era troppo presto. Lo farò il 28 aprile al teatro Salieri di Legnago. Un miniconcerto, pianoforte e voce, è una narrazione. Perché per me nel concerto che sali sul palco, suoni dall’inizio alla fine e vai via manca qualcosa. Sarebbe come fare l’amore senza darsi un bacio. Vado con la famiglia, Phil suona il pianoforte, Chiara canta, io canto, parlo e racconto. Bea è in regia e manda tutte le foto storiche, settanta immagini, da me bambino al primo scatto con i Pooh.  È la mia storia. La storia di un sognatore".