Squid Game: record di clic, risse, boom in Borsa. Il serial coreano conquista il mondo

Il telefilm più visto di sempre su Netflix, in meno di un mese è diventato un fenomeno globale

Un ’soldato’ di Squid Game, serial coreano che ha battuto i record di visualizzazioni

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Uno, due, tre, stella! Le biglie di vetro colorato. Il tiro alla fune. Giochi di una volta, da bambini. Con una agghiacciante differenza: chi perde la sfida, muore. Si chiama Squid Game ed è l’ultimo fenomeno delle serie tv. Prodotto da Netflix, il serial coreano, grottesco e crudo, sta battendo i record di visualizzazioni e si appresta a diventare il più visto di sempre sulla piattaforma. Da quando è stato lanciato, meno di un mese fa, le azioni del colosso dell’intrattenimento a Wall Street sono aumentate dell’8%. In Italia la serie è in lingua originale con sottotitoli, neppure questo ne ha attenuato il successo.

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Una vera mania. A Parigi, davanti al negozio temporaneo dove è possibile testare le prove che si vedono nel telefilm si sono formate code di 200 metri, ed è scoppiata pure una rissa per entrare. Il numero di visualizzazioni è stato così alto che un server coreano vuol citare Netflix per avergli ’intasato’ la banda. E, sempre in Corea, c’è un signore – o una signora, secondo altre ricostruzioni – che ha protestato perché ha il numero di telefono uguale a quello che, nella serie, serve per entrare nella competizione: nelle ultime settimane non ha mai smesso di squillare.

E pensare che l’ideatore, Hwang Dong-hyuk, che ha scritto e diretto ognuno dei 9 episodi, si è visto sbattere la porta in faccia per più di dieci anni: nessuno sembrava interessato alla sua sceneggiatura. Nel momento più buio fu costretto anche a vendere il portatile con cui scriveva, recuperando 500 euro. La costanza, però, è stata premiata.

Ma di cosa parla Squid Game? Il protagonista, Seong Gi-hun, è un perdente. Che nella società sudcoreana – ancora più competitiva di quella occidentale – significa spesso sprofondare in un abisso di povertà e strozzinaggio. Dopo aver toccato il fondo, Seong incontra un uomo distinto che gli propone di partecipare a un gioco con altre 455 persone. In palio ci sono l’equivalente di 33 milioni di euro, che gli permetterebbero di sistemarsi per sempre, mantenendo la custodia dell’amata figlia. Seong accetta. E si risveglia in un capannone, metà labirinto e metà parco giochi: lì, insieme ai suoi sventurati compagniavversari, dovrà affrontare 6 prove mortali, che si basano su regole dei tradizionali giochi per bambini (l’ultimo è il Gioco del Calamaro che dà il titolo alla serie). O si passa il turno o si viene freddati da un esercito di sgherri con maschere enigmatiche e tute rosa (simili a quelle della Casa di carta).

A ogni ‘livello’ superato, come nei videogame, il montepremi sale. I concorrenti non hanno niente da perdere: il broker senza scrupoli che ha tradito i suoi clienti, la ragazza nordcoreana fuggita dal regime, l’immigrato clandestino, il boss caduto in disgrazia e l’anziano malato, simbolo delle categorie non produttive e dunque non più utili al sistema. Il gioco si può sempre interrompere, in caso la metà più uno dei partecipanti lo decida. Alla fine, però, si ritroveranno tutti lì: meglio la morte dell’onta dell’emarginazione.

Il gioco mortale, in realtà, è un tema ricorrente in molte produzioni orientali: Netflix stessa aveva distribuito Alice in Borderland, con un gruppo di ragazzi in una Tokyo trasformata in letale luna park. Sullo stesso filone Battle Royale, che si svolge in una scuola. Una modalità già assimilata in Occidente, vedi l’enorme successo dei film di Hunger Games con Jennifer Lawrence e Maze Runner. Tutti questi prodotti, però, hanno come protagonisti dei teenager, mentre Squid Game mette in campo una grande varietà di tipi umani, ben caratterizzati, e bilancia così un livello alto di scene crude e violente, lontano dai canoni delle serie occidentali. Come spiega il regista, "non ci sono eroi in Squid Game, solo perdenti". E le fredde esecuzioni degli sconfitti non sono altro che l’allegoria di una società – sicuri che sia solo quella coreana? – in cui la sola alternativa al successo è l’emarginazione.