CARLA MARIA
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Quell’amore mai nato, nel Lago dei cigni

Arriva al cinema il film sulla moglie di Čajkovskij: un matrimonio “in bianco“. Lui era omosessuale, lei non acconsentì mai al divorzio

Quell’amore mai nato, nel Lago dei cigni
Quell’amore mai nato, nel Lago dei cigni

Casanova

La mecenate baronessa Nadežda von Meck (vedova di un magnate delle ferrovie russe, madre di numerosi figli) aveva scelto una strada più generosa. Strampalata finché si vuole ma di grande dignità e munificenza: fulminata dall’ascolto di una pagina della musica di Čajkovskij, giovane sconosciuto compositore, decise di assegnargli una sorta di cospicuo vitalizio che gli permettesse di dedicarsi alla composizione mantenendo l’indipendenza materiale. La singolarità del dono stava nell’assoluto divieto di incontrare il giovane di persona, lasciando invece spazio a una fittissima corrispondenza. Diversa la giovane avvenente signorina Antonina Milinkova, allieva del Conservatorio, di nobile e ricca famiglia, la quale, folgorata anch’essa (come la von Meck) dalla prima volta che ascoltò una pagina di Čajkovskij, si innamorò follemente di lui e gli mandò una lettera di infuocata passione dichiarandosi pronta a sposarlo subito. Passarono cinque anni di rapporti complicati, dopo di che avvennero le nozze. Siccome lui non era incline al sesso femminile, cosa di dominio pubblico, ci furono poi, anzi prestissimo, grossi problemi. Ma perché mai lui la sposò?

Pare per mettere a tacere le dicerie sul suo conto perché al tempo, e nel suo ambiente, l’omosessualità non era pubblicamente tollerata. Il provvedimento nuziale non servì a nulla. L’omosessualità di Čajkovskij fu anche causa probabile della sua morte. Del “caso Čajkovskij” molto si è parlato, detto, scritto, analizzato. Era fatale che il cinema dei nostri giorni tornasse ad occuparsene: lo ha fatto ora il regista sovietico Kirill Serebrennikov con il film presentato in concorso a Cannes 2022 e in questi giorni in uscita nelle sale italiane con il titolo – evviva la libertà di traslitterazione – La moglie di Tchaikovsky . Nel suo lavoro Serebrennikov ha scelto di puntare non sul musicista (interpretato da Odin Biron) ma sulla moglie Antonina (l’avvenente attrice Alyona Mikhailova) e sul suo matrimonio “in bianco” nel senso di non consumato. E fin qui. Solo che dalla pellicola è quasi esclusa la musica del compositore, e ciò potrebbe fuorviare l’intera narrazione. Pëtr Il’ič Čajkovskij è la sua musica.

"Se c’è una cosa di cui sono sicuro è il fatto che nelle mie opere io mi rivelo tale quale mi ha creato Dio…". Bastano due battute per capire che si tratta di dolore. Il messaggio sale profondo, inconfondibile e perentorio, anche se si trattta del gioioso Valzer dei fiori dello Schiaccianoci. Čajkovskij fu infelice da sempre, da subito, da quando, bambino, perse la mamma morta di tifo, e fino alla tragica fine. Il suo grido è talmente disperato e inequivocabile che chi lo recepisce può esserne travolto di colpo. Come accadde per Nadežda von Meck e per Antonina Milinkova. Con reazioni differenti. Il matrimonio tra Pëtr e Antonina (più giovane di lui di 8 anni), celebrato nel 1877, quando lui aveva 37 anni, durò qualche mese, ma si protrasse legalmente fino alla morte di lui (a 53 anni, nel 1893) per l’assoluta interdizione di lei a stipulare il divorzio. Per vari motivi: perché voleva continuare a risultare moglie di Čajkovskij (dopo il matrimonio si firmò sempre Antonina Čajkovskaia) vuoi per rivendicare l’illusione del suo appassionato amore, forse anche sperando in una possibile soluzione e vuoi – più realisticamente – perché le assicurava il dignitoso vitalizio che avrebbe perso con il divorzio. Che al vitalizio Antonina tenesse molto trapela dalle lettere di Pëtr al fratello Anatolij in cui gli chiede di tenere la (ex)moglie tranquilla, che i 2000 rubli sarebbero puntualmente arrivati. Inoltre il divorzio, secondo le rigide norme della Russia imperiale, esigeva l’ammissione da parte sua di adulterio, adulterio che lei non ammise mai pur avendolo perpetrato a oltranza: ebbe tre figli fuori dal matrimonio. Alcune cronache dell’epoca la citano addirittura come “lussuriosa”, ipotesi suffragata da Ken Russel nel suo drammatico, spietato film L’altra faccia dell’amore.

D’altra parte Čajkovskij, già complessato di suo e reso più sensibile dalla precaria situazione, voleva evitare per quanto possibile scandali e divulgazione di particolari scabrosi per lui oltremodo avvilenti. Può illuminare la vicenda un ulteriore chiarimento: Antonina (certo infelicissima anche lei) morta 24 anni dopo il marito, ne passò gli ultimi 20 in manicomio. Anche se al tempo le donne – soprattutto – finivano in manicomio senza troppi complimenti (vedi la grandissima scultrice Camille Claudel), Antonina doveva essere da sempre vittima di forti squilibri. Ma non fu persona del tutto negativa. Da recenti indagini e documenti (il libro-inchiesta di Valerij Sokolov Storia di una vita dimenticata) risulta anche provvista di reale nobiltà d’animo.

Resta il mistero delle morte del marito. Le cronache dell’epoca danno il compositore del Lago dei cigni morto di tifo, dopo aver bevuto un bicchiere di acqua non bollita. Strano, per chi ha avuto la vita sconvolta dalla morte di tifo della madre. Indiscrezioni attendibili dicono che il musicista avesse una relazione con un personaggio della famiglia dello zar e che questa relazione venendo alla luce avrebbe creato scompigli nella Russia imperiale per cui a Pëtr venne inoltrata la richiesta (ordine? non sarebbe la prima volta) di sparire. Magari, allora sì, bevendo un bicchiere dì acqua infetta.

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