Quella terra desolata divorata dalle ideologie

Un secolo fa T.S. Eliot pubblicava il poema più attuale che mai: la sterilità della vita di oggi, vuota di sacro. Ma che invoca la pace

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di Davide Rondoni

Cosa ci fa Tiresia, l’indovino divenuto androgino, vecchio con le mammelle avvizzite, nella stanza di una dattilografa londinese, agli inizi anni ‘20? Cosa ci fa mentre lei consuma una mesta scena di sesso con l’amante, "giovanotto foruncoloso", che non distingue in lei indifferenza e rassegnazione? E perché "aprile è il più crudele dei mesi"? Cosa ci fa una Sibilla che vuole morire all’inizio del nostro tempo feroce e anonimo?

Cent’anni fa, nel 1922, Thomas Stearns Eliot (1888-1965) fece uscire La terra desolata, una composizione poetica enigmatica e meravigliosa. È una poesia concentrata e al tempo stesso deflagrante. Una lucida, acre, profonda cronaca dell’uomo contemporaneo. Di noi. Passò per le mani del "miglior fabbro" (così Eliot definisce l’amico Ezra Pound nella dedica) e venne ridotta della metà rispetto al disegno originario: la stesura ultima dell’opera fu "di 19 facciate, maledettamente buona, da far chiudere bottega a tutti, sebbene io non l’abbia ancora fatto", scrisse Pound. Un’opera che continua a sgomentare. La sterilità della vita contemporanea, divorata dalle ideologie che nel ‘900 poi inquinarono e assassinarono, resa anonima dalle manie del profitto e del possesso, svuotata di senso perché non più a contatto con il sacro nelle sue tante manifestazioni, è documentata dal poema che – fa impressione leggerlo ora – si chiude con una invocazione alla pace.

T. S. Eliot convogliò nei versi appassionanti e spietati la sua immensa sensibilità e la sua vasta cultura, le sue letture da Baudelaire e dai libri sacri. L’opera fin da subito apparve di prodigioso interesse e influenzò la scrittura poetica di gran parte del ‘900, autori come Montale se ne abbeverarono, grandi poeti come Miloszc la tradussero, e anche coloro che a Eliot si “opposero” non potevano eluderla.

I commenti sono un fiume, e anche qui le traduzioni continuano. Accanto a quelle di lungo corso nei cataloghi di grandi editori, dopo la prima di Mario Praz nel 1932 (Sanesi per Bompiani, Tonelli per Feltrinelli, Serpieri per Bur Rizzoli) si sono aggiunte recentemente l’edizione di Carmen Gallo per Il Saggiatore e quella di Aimara Garlaschelli – entrambe poetesse – per Ets. A queste si aggiunge la meritoria riedizione della traduzione di Elio Chinol, uscita cinquanta anni fa, nel 1972, da Loperfido editore di Ravenna, ora da parte di InternoPoesia per la cura della nipote di Chinol, la poetessa Rossella Pretto.

Per i cent’anni del capolavoro di Eliot ci saranno letture pubbliche e seminari. A Milano ieri il Centro culturale ha invitato con me e Rossella Pretto, altri poeti come Roberto Mussapi e altri letterati come Francesco Napoli. A Bologna il Centro di poesia contemporanea dell’Univeristà il 12 aprile dedicherà un laboratorio di traduzione. E altri artisti si mobilitano, come la coreografa Ornella Sberna di Ormars lab di Milano che con la danza contemporanea e alcuni miei testi e traduzioni porterà in scena Attraversando la terra desolata.

Mai come in questo momento dove diverse crisi mostrano le fragilità della cosiddetta modernità e della società contemporaneo, la poesia di Eliot presenta una sincera bussola, una provocazione profonda. Le scene dantesche e conradiane, le ironie aspre che influenzarono da Duchamp a Bacon, le sottigliezze e le visioni che abitano un testo oscuro e abbagliante, fanno de La terra desolata la lettura più intelligente che si può consigliare in questo periodo di menzogna e di violenza. E la più scomoda. Perché ci ricorda che la storia è la rappresentazione dei nostri cuori. E che, come diceva Baudelaire, le crisi di civiltà Baudelaire, le crisi di civiltà non dipendono innanzitutto dalle forme di governo, ma, appunto, dall’avvilimento dei cuori.

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