
Tra i programmi tv condotti da Daria Bignardi ’Le invasioni barbariche’ e il ’Grande Fratello’
I libri che le piacciono, quelli che non la convincono, i più venduti e i classici da leggere almeno una volta nella vita. Daria Bignardi si confronta sul tema con l’autrice Silvia Righini e lo scrittore Stefano Sgambati nel podcast ’Parlarne tra amici’, titolo preso in prestito dal romanzo dell’irlandese Sally Rooney. Disponibile su OnePodcast e su tutte le piattaforme di streaming audio, il format ospita talvolta anche gli autori delle opere oggetto del dibattito. "Discutiamo con quell’urgenza e quel divertimento che si prova non appena si finisce di leggere un libro notevole e non si vede l’ora di commentarlo e di condividere opinioni e riflessioni con gli amici", spiega la scrittrice, giornalista e conduttrice, pronta a stupire i suoi lettori con una nuova pubblicazione in uscita il prossimo autunno.
Oltre il podcast, le piace parlare tra amici? E, soprattutto, le piace parlare?
"Tra veri amici mi piace moltissimo, e anche sparlare e ridere. Tra conoscenti o nuovi amici invece non sono una gran parlatrice: preferisco stare in silenzio, ascoltare, fare domande e farmi raccontare le vite degli altri".
Che tipo di lettrice è?
"Sono una lettrice bulimica sin da quando ero bambina. Se non avevo qualcosa da leggere stavo male".
Qual è il primo libro di cui ha memoria?
"Una storia illustrata per bambini intitolata Il dono più bello. L’avevo perso, l’ho raccontato in uno dei miei libri e così un gentilissimo lettore mi ha spedito la sua copia. Un gesto e un regalo meravigliosi".
Cosa l’ha spinta a scrivere prima ancora che a fare televisione?
"Leggevo tanto ed ero grafomane. Eccessiva in tutto. Leggere e scrivere sono le cose che ho fatto di più nella vita, soprattutto leggere".
Scrittrice o giornalista, quale visione del mondo le calza di più?
"Dopo tanto tempo, che scrivo sia per i giornali che per la tv, la radio e i libri e ora i podcast, direi che sono soprattutto un’autrice, una narratrice. Mi piace raccontare delle storie".
I suoi libri scandagliano l’animo umano con delicatezza. Quanto c’è di autobiografico nei suoi personaggi?
"Beh, sempre tanto. Anche se molti personaggi sono inventati o rubati alle vite di altre persone che ho conosciuto. Un misto di tutto: fatti, esperienze, sogni, pensieri, suggestioni, desideri, paure mie o altrui".
La comunicazione è cambiata radicalmente. Che valore hanno oggi le parole?
"Ce ne sono tante. Dette e scritte. Più sono autentiche e oneste e più valgono. In letteratura le parole poi restano".
Stare in video le manca?
"Ehm, per niente, anzi. Mi piaceva molto scrivere i programmi ma non essere io a condurli".
Ha parlato pubblicamente della malattia, della perdita, della maternità. C’è un tema che ancora oggi fatica ad affrontare?
"Quello di cui sto scrivendo per il prossimo libro. Lo leggerete in autunno".
Cosa la commuove?
"Direi tutto, anche se magari non sembra, sono super sentimentale. Mia sorella mi chiamava Melania e diceva che avevo le lacrime in tasca. Ma soprattutto mi commuovono le persone che soffrono. Specialmente i bambini. Sa quell’espressione “una stretta al cuore”? La provo spesso".
Cosa invece la fa arrabbiare?
"Oggi, più di tutto, due persone: Netanyahu e Putin. E i loro simili".
C’è una frase o un pensiero che sente suo più di altri?
"’Mi piacciono i maggi piovosi’. L’ho inventata in questo momento, non è male no?".
È nata a Ferrara da una famiglia di origine bolognese. Torna spesso da queste parti?
"Non spesso ma ci torno sempre. Ecco: un’altra cosa che un po’ mi commuove sono i filari di pioppi sugli argini del Po e i vecchi muri di mattoni rossi delle cascine abbandonate in mezzo alla pianura".
Se questa intervista fosse un romanzo che titolo le darebbe?
"Un destino da lettrice".