Mercoledì 24 Aprile 2024

Quella Scarpetta da non perdere

Silvio

Danese

Non vorremo che chi segue la Mostra ’da casa’, tra Penelope Cruz, Kate Hudson eccetera, si facesse l’idea che qui la vita è tornata come prima. Questa è una Mostra a pieno regime per la qualità dei film, e i tre in concorso ieri sono tre assi da festival.

Ma i posti uno-sì-uno-no, l’area tamponi, la lotta del clic di prenotazione, quel togli-metti al nasobocca... Partendo dal terzo italiano in concorso oggi, Qui rido io, sul re della scena napoletana d’inizio ‘900 Eduardo Scarpetta, è difficile dire chi più volge il film al successo tra il mattatore inventore Toni Servillo e il regista architetto Mario Martone, autore di una sorta di manifesto dei suoi decenni di teatrocinema.

Le ricostruzioni di palcoscenico (c’è anche la spaghettata di Miseria e nobiltà), di cronaca culturale partenopea e nazionale, e di cronaca di promiscuità famigliare (con i piccoli Eduardo e Peppino De Filippo) approdano infine alla questione della modernità: il processo ScarpettaD’Annunzio per la parodia del dramma del Vate La figlia di Iorio.

La difesa di Benedetto Croce, che per salvare Scarpetta puntò sulla volgarità della parodia, apre l’episodio alla futura storia culturale italiana, quell’equivoco continuo tra alta e bassa cultura, dramma e commedia, sublime e popolare (Antonioni e Totò), un feticcio che ci siamo portati addosso a partire dalle rigidità marxiste del dopoguerra.

Da non perdere.

Non sono però meno papabili a un premio la tremenda, dettagliata cronologia di aborto clandestino nella Francia del 1963, L’evenement di Audrey Diwan, dal romanzo di Annie Ernaux, e la dilaniante “riscoperta“ del padre creduto morto del ragazzino di La caja di Lorenzo Vigas, Leone d’oro 2015 con Ti guardo.

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