Quel Caffè che conquistò Fenoglio e Flaiano

Settant’anni fa nasceva la rivista letteraria fondata da Giambattista Vicari, giornalista ed editore ravennate: il primo a pubblicare Ezra Pound

Migration

Franco

Gàbici

Il Caffè che quotidianamente le nostre testate offrono agli affezionati lettori ha illustri precedenti, dal famoso Caffè settecentesco dei fratelli Verri al meno – ingiustamente – famoso Caffè che Giambattista Vicari, straordinario organizzatore e promotore culturale, fondò a Roma giusto settant’anni fa nel 1953. Vicari, all’epoca, si era già ritagliato un certo spazio di notorietà negli ambienti letterari. Aveva fondato Lettere d’oggi, era stato redattore capo della Fiera letteraria ed era stato il primo editore italiano di Ezra Pound.

Da tempo, però, gli frullava per il capo l’idea di dar vita a una rivista tutta sua e di questo suo progetto ne andava parlando agli amici. "Si dovrebbe fare un giornale – confidò una volta a Sergio Zavoli – che dica la verità su tutto e su tutti, senza paura. Dovremo pagarcelo noi, non è possibile accettare niente da nessuno". Zavoli, di fronte a questo progetto ambizioso ma anche pericoloso, sussultò e commentò: "È il mio sogno". E il sogno si avverò, grazie alla tenacia di Vicari che riuscì a polarizzare su di sé l’attenzione del fior fiore dell’intellighenzia letteraria italiana.

I primi tre numeri erano formati solo da otto pagine di carta leggerissima e quel primo Caffè ebbe subito, seppure con qualche riserva, la benedizione di Italo Calvino che, invitato a collaborare, definì la creatura di Vicari "simpaticissimo foglio umoristico polemico". La rivista divenne ben presto un punto d’incontro di scrittori di tutto rispetto che, con in testa Vicari, si divertivano a lanciar strali contro i falsi valori accumulati sin dal dopoguerra. "Le mie posizioni – diceva Vicari – erano una specie di fastidio verso il neorealismo di quegli anni, verso questa letteratura degli stracci e malinconica, verso il lirismo, l’elegiaco, verso tutto questo sviolinamento della letteratura italiana". Aderirono al Caffè i più singolari nomi della nostra letteratura, da Calvino a Berto, da Flaiano ad Arbasino, da Palazzeschi a Malerba, da Sinisgalli a Fenoglio.

Raymond Queneau e Jean Tardieu partivano addirittura da Parigi per incontrare Vicari a Roma. Dopo Ravenna, dove era nato, la capitale era diventata la sua seconda città. Una volta Orson Welles, seduto a un tavolo con Vicari e Flaiano, dopo aver letto alcuni epigrammi usciti sul Caffè esclamò: "Ci vuole molta pazienza a farsi quei nemici" e Vicari, come ha scritto Gaio Fratini, "scelse l’improvvisato aforisma di Welles come etichetta dell’eversiva rivista".

Il Caffè cessò le pubblicazioni nel 1986, otto anni dopo la morte di Vicari, avvenuta a Roma quarantacinque anni fa, nel marzo del 1978, ma Vicari continua a vivere in uno straordinario archivio curato dalla figlia Anna, che da anni lavora per mantener viva la memoria del padre. Vicari, purtroppo, dopo tanti anni sta ancora pagando il dazio della sua adesione giovanile al fascismo con una ingiusta damnatio memoriae.

Quello di Vicari, per la verità, fu un fascismo sui generis, di fronda, tant’è che venne radiato dal partito, ma certi peccati pare che siano difficili dall’essere perdonati. L’archivio si trova a Montecalvo in Foglia (Pesaro-Urbino), è aperto a tutti gli studiosi e raccoglie una quantità incredibile di carteggi che testimoniano l’attività letteraria, giornalistica e pittorica (fu anche pittore!) di Vicari, di questo “irregolare” che ha sempre agito in libertà tant’è che non volle mai vendere il suo Caffè agli editori.

"Chi lo ha conosciuto – scrisse Carlo Bo il giorno della morte – non potrà dimenticare questa singolare e cara figura di scrittore, sempre pronto a battersi per il nuovo, quando questo nuovo fosse il segno di una vera rottura e di una giusta apertura".

L’archivio del Caffè è consultabile nel sito www.ilcaffeletterario.it.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro