Quei musei nascosti sotto il Mare Nostrum

Barbara Davidde, soprintendente al patrimonio subacqueo: "Reperti dall’età preistorica alla guerra. Serve una mappatura nazionale"

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di Nicoletta Magnoni

Ventimila leghe sotto i mari nascondono tesori che neppure Capitan Nemo avrebbe potuto immaginare. Laggiù, sui fondali dove la luce è inghiottita dalla profondità misteriosa, la fantasia supera la realtà e la storia scorre sott’acqua in un mondo parallelo. Immergiamoci allora in questi musei sottomarini (riaperti nelle Regioni gialle) con la Soprintendente nazionale al patrimonio subacqueo, Barbara Davidde, archeologa e, ovviamente, sub provetta.

Quali testimonianze custodisce il Mare Nostrum?

"Il patrimonio culturale subacqueo è molto ricco. I reperti vanno dall’età preistorica alla seconda guerra mondiale. Sono insediamenti, resti di naufragi, battaglie, attacchi di pirati".

La mappa dei siti archeologici è altrettanto ricca?

"Sì, è davvero vasta. Fra i più interessanti di epoca preistorica c’è sicuramente il sito del Gran Carro, nel lago di Bolsena, un villaggio di riva dell’età del ferro, sommerso a cinque-sei metri di profondità a causa del cambiamento climatico con capanne, ceramiche, utensili e perfino cibo. Il bradisismo tipico delle zone vulcaniche, invece, ha fatto scomparire sott’acqua il grande complesso di epoca romana di Baia, in provincia di Napoli, una zona residenziale di età imperiale frequentata dalle élites, con ville lussuosissime affacciate sul mare di cui sono stati rinvenuti i resti con mosaici e rivestimenti marmorei, oggetto di un lungo restauro a cui ho lavorato fino a un mese e mezzo fa".

Se l’acqua ha inghiottito città e porti, chissà quanti relitti avrà portato con sé...

"Tantissimi, soprattutto del III e del IV secolo dopo Cristo. A San Pietro in Bevagna, nella zona di Taranto, è interessantissimo il ritrovamento di un’imbarcazione che trasportava ventisette sarcofagi, tutti semilavorati per evitare che la navigazione danneggiasse le decorazioni".

L’epoca moderna ha lasciato tracce fra le acque?

"I siti di epoca medioevale e rinascimentale sono più rari perché per imbarcazioni e merci era largamente utilizzato il legno che si deteriora facilmente sott’acqua se non è protetto da sedimento. Recentemente, l’archeosub della Soprintendenza della Liguria, Simon Luca Trigona, ha ritrovato su segnalazione i resti di un’imbarcazione di età rinascimentale di cui ora si stanno studiando il carico e il naufragio attraverso gli archivi".

Quando è nata in Italia l’archeologia subacquea?

"Il padre è Nino Lamboglia che, a partire dagli Anni Cinquanta, avvia la moderna metodologia scientifica. È stato tra i primi a capire l’importanza di proteggere i relitti dopo lo scavo".

Già, come ci si prende cura del passato sott’acqua?

"Siamo leader nel mondo per il restauro in immersione, avviato nel 2001, tanto che ora stiamo esportando le nostre tecniche in Grecia. Con i laboratori di archeologia marina studiamo i materiali protettivi da utilizzare, soprattutto quando i resti sono colonizzati da microorganismi che penetrano in profondità. A Baia i pavimenti restaurati sono coperti con la sabbia del fondale, resta solo una finestra per le visite, una zona che ogni volta può essere scoperta e ricoperta, ed è affascinante per i visitatori perché trasmette quasi l’emozione del primo rinvenimento".

Sono musei scenografici, come si visitano?

"Da quando l’attività subacquea è uno sport diffuso, il ministero ha dedicato molti sforzi alla valorizzazione del patrimonio. Le visite sono organizzate attraverso diving center soprattutto nelle aree marine protette dov’è più facile creare percorsi".

Quanto sono immersive sotto ogni aspetto queste discese ai musei sottomarini?

"Stiamo facendo ampio ricorso alle nuove tecnologie con il progetto Musas. Grazie all’Università La Sapienza che ha messo a punto l’Internet sottomarino, il progetto allargherà l’esperienza alla realtà aumentata nei siti di Baia, Brindisi, San Pietro in Bevagna dove i sub possono vedere sui tablet l’ambiente in cui si trovano esattamente com’era nel passato. È un sistema avanzato che abbiamo solo in Italia".

Nell’immediato che cosa vede lungo l’orizzonte marino per l’archeologia subacquea?

"Per ora la Soprintendenza intende concentrarsi sulla catalogazione del patrimonio esistente perché non abbiamo una banca dati nazionale. Mi prendo questo impegno".

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