Quando Picasso era lo straniero irregolare

"Anarchico", "comunista", "troppo amico degli ebrei". Una mostra racconta le persecuzioni subite dal maestro spagnolo a Parigi

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di Giovanni

Serafini

"È un anarchico". "Non ha reso alcun servizio alla Francia durante la guerra del 1914". "È un comunista, fa l’apologia dei Soviet". "Ha troppi amici ebrei". "Guadagna molti soldi ma li manda di nascosto all’estero". Sono le note della Préfecture de Police, i rapporti segreti accumulati per decenni in faldoni consultabili a Parigi negli archivi di Stato, sezione "Etrangers". Il dossier col numero 74.664 ha un nome: "Ruiz Picasso, detto Picasso Pablo, nato a Malaga il 25 ottobre 1881, di professione pittore". Per i censori della polizia francese il Maestro venerato in tutto il mondo, il genio che ha rivoluzionato la storia dell’arte, è solo “un étranger”, uno straniero irregolare.

Oggi ha un museo tutto suo nel Marais, nel cuore di Parigi: ma quanti visitatori che vanno in estasi davanti al ritratto di Dora Maar e della Celestina sanno che l’artista venne ostinatamente, stupidamente, vergognosamente osteggiato dalla Francia del suo tempo? Una mostra al Musée de l’Histoire de l’Immigration gli rende giustizia (anche se Picasso non ne ha bisogno) mettendo a nudo le perfidie che decine di funzionari xenofobi e razzisti misero in atto contro di lui per quasi mezzo secolo, fino al 1947, l’anno in cui ottenne un permesso di soggiorno e le sue opere furono ammesse nelle collezioni pubbliche.

Ottobre 1900: il giovane Pablo Ruiz, 19 anni, arriva a Parigi da Barcellona accompagnato dal suo amico Carles Casagemas, catalano come lui. La Francia è ancora devastata dal ciclone dell’”affaire” Dreyfus che ha eruttato i peggiori rigurgiti antisemiti. Agli occhi di una larga parte dell’opinione pubblica gli stranieri, in particolare i giovani e gli artisti, sono sospetti. La polizia li tiene d’occhio con la stessa attenzione riservata oggi ai “fichiers S”, i potenziali terroristi islamici.

Come tutti i suoi compagni Picasso deve assoggettarsi al rituale insopportabile dei permessi di soggiorno rifiutati, degli interrogatori, delle inchieste abusive che vanno a caccia di’ informazioni “utili” su mogli, amanti, amici, frequentazioni varie. Tutto passa al setaccio: opinioni politiche, testimonianze sulla moralità, i bar frequentati, i viaggi effettuati, gli indirizzi delle case abitate in passato.

La mostra, organizzata dalla storica Annie Cohen-Solal, autrice del libro Un étranger nommé Picasso che ha appena ottenuto il premio Femina, espone una quantità di documenti che illustrano le umiliazioni inflitte a quegli immigrati. Lo “straniero di nome Picasso”, che non parla una parola di francese, deve rispondere a questionari dal linguaggio astruso, recarsi ogni due anni in commissariato per le impronte digitali, chiedere salvacondotti provvisori. Una via crucis che arriva al culmine dell’indegnità nel 1942, quando l’artista di Guernica deve "certificare sull’onore di non essere ebreo, ai termini della legge 2 giugno 1941".

Che cosa non piaceva di lui? Tante cose. Il fatto che abitasse a Montmartre, quartiere in cui dopo i fattacci della Comune vivevano anarchici di tutte le nazionalità. Un rapporto del 18 giugno 1901 firmato da un certo Rouquier imputa a Picasso di essere alloggiato in casa di Pedro Manach (il futuro gallerista), ritenuto un soggetto violento e anarcoide: "Se vive in casa di Manach ne condivide per forza le idee". Non basta: a Rouquier non va giù nemmeno il fatto che Picasso dipinga "mendicanti, saltimbanchi e ragazze di strada. La scelta dei soggetti dimostra la sua ostilità all’ordine borghese". Più tardi anche il fatto che Pablo guadagni moltissimo irrita i funzionari francesi: "Si sospetta che mandi i soldi all’estero per aiutare gli anarchici spagnoli". Un rapporto del 1940 insiste sulle amicizie con "noti personaggi ebrei" come Max Jacob e Daniel-Henry Kahnweiler: non sarà per caso ebreo anche lui? In una nota l’ispettore Emile Chevalier scrive: "Questo straniero non ha alcun titolo per ottenere la naturalizzazione e dev’essere considerato pericoloso per la sicurezza nazionale". Fra i motivi per cui Chevalier detestava Picasso ce n’era uno personale: l’ispettore si piccava di essere anche lui un pittore e non capiva come mai il suo “rivale” avesse tanto successo...

Le stampe, i disegni, i quadri (Fillette à la corbeille fleurie del 1905, L’homme à la mandoline del 1911, Café à Royan del 1940, Fumées à Vallauris del 1951) esposti al Musée de l’Immigration accanto a tanti documenti, fotografie e filmati raccontano non solo la straordinaria epopea del genio catalano, ma anche – purtroppo – la penosa storia di un paese per troppo tempo i preda ai suoi fantasmi.

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