Martedì 23 Aprile 2024

Quadro, ti voglio annusare: è l’essenza dell’arte

Al Prado l’esperimento sulla tela “Il senso dell’olfatto“ di Jan Brueghel il Vecchio: grazie alla tecnologia sprigiona dieci antichi profumi

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di

Silvia Gigli

Chi, davanti alla Primavera di Botticelli non ha realmente immaginato di sentire odore di gigli, anemoni e rose turgide in fiore? Ma se anche il cardinale Federico Borromeo, nel XII secolo scrisse a Jan Brueghel di poter sentire il profumo della primavera nei dipinti del maestro fiammingo, allora la faccenda si fa più complicata e merita un approfondimento. È così venuto in mente ai vertici del Museo madrileno del Prado di affidare alla casa di profumi Puig il compito di riprodurre le fragranze di 10 degli oggetti – fiori, piante, animali – che appaiono in un celebre olio di Brueghel. È una “mostra olfattiva“ progettata attorno a un capolavoro fiammingo dipinto a quattro mani: Il senso dell’olfatto, firmata da Jan Brueghel il Vecchio (1568 - 1625) che ha dipinto la flora e la fauna e da Pieter Paul Rubens, che ha dipinto le figure allegoriche.

Un inno ai profumi della natura e agli aromi floreali, il dipinto è ora accompagnato da dieci profumi legati alla tela. L’idea è venuta lo scorso anno a Alejandro Vergara, direttore della sezione dedicata alla pittura fiamminga del Prado: "Circa un anno fa e ci è venuta la voglia di concentrarci sul senso dell’olfatto e di far lavorare un profumiere sul dipinto, identificare cosa c’è dentro e creare 10 fragranze". Una volta che i ricercatori hanno identificato le 80 diverse specie di piante e fiori della tela, Gregorio Sola, il profumiere senior di Puig, ha iniziato a creare alcuni dei loro profumi.

Quattro diffusori si trovano ora – fino al 3 luglio per la mostra “L’essenza di un dipinto” – nella stanza 83 del Prado, e offrono i loro profumi accuratamente calibrati al tocco di uno schermo. Oltre a gelsomino, rosa, nardo, fico, fiori d’arancio, narciso, e garofano, ci sono l’iris – prezioso come l’oro a causa del lungo, lento e complicato processo di estrazione – e il profumo dell’ambra di un paio di guanti di capretto. Mentre Sola ha scelto di non evocare l’odore dei pavoni, dei porcellini d’india o del segugio, ha deciso di riprodurre l’odore (fors’anche il puzzo?) dello zibetto. "Lo zibetto è un odore piuttosto aspro e sporco, ma è quello che trovi in tutte le ricette del 1500 e 1600 perché è stato usato come agente fissativo affinché il profumo durasse sulla pelle".

Per quanto riguarda gli odori del dipinto legati agli animali, si tratta di profumi sintetici ("quindi nessun animale è stato ferito", assicurano gli organizzatori), mentre tutti gli altri si basano su essenze naturali. Vergara spera che l’insolito mix di vista e olfatto susciti l’interesse dei visitatori: "Penso che sia davvero una bella visita a un museo: in 45 minuti guardi cinque bellissimi dipinti e ti connetti con questa idea che non ti aspetti: l’odore del passato".

Gregorio Sola spera che i suoi profumi aiutino a fissare l’immagine di Brueghel nella mente delle persone: "La nostra memoria olfattiva è più forte della nostra memoria visiva o uditiva: il ricordo del profumo di nostra madre, del nostro primo bacio, della nostra prima macchina o del primo giorno di scuola con l’odore di matite e colori nuovi... Abbiamo tutti la nostra memoria olfattiva e l’idea di questa mostra è che il dipinto di Jan Brueghel lascerà la sua impronta olfattiva memorabile su tutti". La maggior parte dei profumi creati da Gregorio Sola si concentrano sui fiori del dipinto. Il profumo Allégorie traspone così le emanazioni del bouquet di rose, gelsomini e garofani che, offertole da Cupido, la Venere del quadro porta al naso. La scena dipinta dai due maestri fiamminghi nasconde anche un piccolo laboratorio dove si sfregano fiasche di elisir, alambicchi ed essenze misteriose.

Ma l’idea del coinvolgimento olfattivo dei visitatori dei musei non si ferma certo a Madrid. Per la prima volta è stato possibile “annusare“ i profumi dell’antico Egitto. I ricercatori dell’Università di Pisa hanno rivelato il contenuto di vasi e anfore della tomba di Kha e Merit al Museo Egizio di Torino risalenti a circa 3.500 anni fa. Nei contenitori in alabastro sono stati identificati resine e unguenti insieme a cera d’api, uno dei materiali usato sia come conservante sia come base per la preparazione di cosmetici. Nelle anfore c’erano pesci essiccati e molecole volatili di farina d’orzo o addirittura birra.

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