Promessi sposi, un amore lungo due secoli

Il 24 aprile 1821 esce “Fermo e Lucia“ di Alessandro Manzoni, la prima versione del romanzo più importante della nostra storia

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di Davide Rondoni

Manzoni ha innescato una bomba. Come nasce un capolavoro? Da un trauma, da un turbamento, da una volontà ferrea, da un fervore interiore spaventoso? Alessandro Manzoni aveva tutto questo addosso quando, trentaseienne, mette mano alla prima stesura del suo romanzo. Del nostro romanzo. È la prima versione, Fermo e Lucia e porta la data del 24 aprile 1821. Poi cambierà molte cose, titolo e nome del protagonista, costruzione della storia, episodi, lingua.

Sarà un lavoro feroce, faticoso. Diventerà il romanzo più importante della nostra storia fino a ora. E il più discusso, più amato e odiato. L’inevitabile.

Il romanzo si presenta come trascrizione di una storia del passato. Due giovani che sentono il “bruciore“ dell’amore trovano sulla loro strada gli impedimenti del potere, della storia, delle volontà umane.

Ne viene un grande affresco ancora attualissimo di tipi umani, di dinamiche morali e sociali. Una “tragedia cristiana“, qualcuno lo definisce, vedendo in quel che troppo banalmente si nomina Provvidenza l’altra faccia di quel un personaggio gigantesco come don Abbondio chiama “la scopa“ che domina la storia.

Insomma, una grande questione, che incendiava la sua mente di laico e di convertito, l’anima d’uomo sensibile e acuto: la storia ha un senso? E ancor di più, che senso hanno le azioni e le disposizioni d’animo umane nell’interpretarla, nel giudicarla? L’uomo che è autore di un libro fondamentale (e quanto attuale!) sulla gestione della giustizia (Storia di una colonna infame) affonda il suo racconto nel vivo problema della nostra modernità.

Che cosa è la libertà, e che vuol dire esser giusti nella storia? È davvero possibile? Come si può essere liberi e giusti vivendo come capita a ciascuno di noi dentro a una storia in cui intervengono guai personali, effetti del potere, prepotenze, irrazionalità delle masse, imperi del luogo comune?

Sono questioni attualissime nell’epoca che viviamo e che Manzoni sa far vibrare e vivisezionare con lucidità. I Promessi sposi sono una bomba. Lanciamola ancora. Non lasciano requie, grazie allo stile di un autore che sa usare tutte le corde – dalla ironia alla commozione, dall’analisi dei caratteri a quella di fenomeni sociali – per non lasciarci tranquilli.

Sa che il don Abbondio che vive in ciascuno di noi vorrebbe star tranquillo. E che troppe volte ci accontentiamo della tensione morale a bassissimo voltaggio che consiste nel cercare di evitare i guai. Ma Lucia, come tante vittime di ogni tempo e di ogni genere, i guai non se li è cercati. Quanti amici hanno avuto guai seri non cercati. E allora cosa ci resta, dividere la storia e la cronaca in fortunati e sfortunati?

L’uomo ancora vivo di cuore e ragione non si accontenta di una lettura così ferocemente banale che oggi sembra dominare praticamente la vita di molti. Fortuna, sfortuna e buonanotte. No, Manzoni, l’incontentabile, perseguita questo cinismo facile, questa mediocrità spirituale. E mette in scena la possibilità di un altro modo di valutare la storia, di abitarla. Il modo rivoluzionario che sa valutare la vita dell’ultimo degli sventurati tanto preziosa quanto quella del più fortunato. E, terribilmente, continua a convocare la nostra libertà, chiedendoci se contribuisce alla giustizia o al perpetrarsi delle misere astuzie del potere.

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