Poesia, mito e piacere: il vino è la nostra cultura

L’Europa discute di etichettarlo come nocivo. Ma è una bevanda che ci accompagna fin dall’antichità e combatte simbolicamente la morte

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Franco

Cardini

Guardatevi, guardiamoci dagli odiatori del genere umano. Lo abbiamo sempre saputo, in fondo, che tutte le cose buone – lo aveva già detto Oscar Wilde, o fanno male o sono causa di peccato. Ed è giusto essere prudenti. Ma attenti a non esagerare. Come diceva quel saggio personaggio manzoniano: "Adelante, Pedro; con juicio". A volte, nella vita, bisogna rischiare. E soprattutto non si può, non si deve diventare schiavi di un insensato esercito di talibani del salutismo, di suffragette fanatiche le quali, con l’ipotetica scusa di qualche ora o di qualche giorno in più, vorrebbero rubarci la felicità e ucciderci la vita.

Il vino è pericoloso, è dannoso, uccide. E allora? Tutto uccide. La vita stessa, consumata giorno per giorno, è causa di morte. Anche l’acqua oligominerale e il semolino, consumati in modo improprio e smodato, possono rivelarsi letali. “Che Dio ti conceda dovizia di grano e di vino”: suona così la benedizione di Isacco a Giacobbe (Genesi, 27, 28). Il grano sta alla base dell’economia biblica e – col vino, appunto – del mistero eucaristico. Nella cena dell’istituzione dell’eucaristia il pane rappresenta il corpo, la carne del Cristo: e il vino ne è il sangue (Luca, 22,19).

Leggendo della decisione dell’Irlanda, autorizzata dalla Commissione europea, di apporre entro il 2026 sulle bottiglie di vino e di altri alcolici etichette che avvertano le persone dei rischi legati al consumo di queste bevande, viene spontaneo il replicare a quei celti consumatori di luppolo che noialtri mediterranei, al vino – grande ispiratore di poeti da Omero a Omar Kayyam (che, pure, era musulmano...) – non rinunzieremo mai. Bevanda preziosa, alimento insostituibile, gioia dei forti e sollievo degli afflitti, il vino è vita: il sole, il sangue, il fuoco hanno i suoi colori e ne sono simboli; ed esso è simbolo per loro. Che cosa mai sarebbe la filosofia, senza il vino che trionfa nel Simposio di Platone? Che cosa la fede, senza il frutto della vite consacrato e mutato nel sangue di Dio?

Per noi europei del Mediterraneo il vino è il simbolo forte e primario delle radici della nostra stessa identità, connesso com’è alla Bibbia e al cristianesimo da una parte, a Omero, a Platone, a Dioniso e dunque alla cultura ellenica dall’altra (ma Dioniso proviene addirittura dall’India ed è imparentato con Shiva, il Signore del Mutamento). Certo è da tempo che la campagna contro il vino, accomunato alle altre bevande alcoliche, è attiva: provocherebbe danni cerebrali irreversibili, sarebbe una minaccia per il fegato, potrebbe risultare cancerogeno e così via.

Già nel mito, verrebbe da pensare, il vino è un caro vecchio amico, ma anche un dono terribile: può liberare (e “Liberatore” è uno degli epiteti di Dioniso) ma altresì condurre all’impotenza o alla follìa, può rinvigorire e toglier le forze, può donare la parola e perfino la poesia e può condannare all’afasia, può infonder coraggio e dignità e ridurre all’abiezione animalesca. Lo sappiamo: per questo dobbiamo trattarlo con fraterna prudenza. È alcool, quindi spirito. Come i geni ellenici, gli angeli della Bibbia, i jinn di fuoco dell’Islam. Il diavolo nella bottiglia: e una fiaba delle Mille e una notte insegna che da lì non va fatto uscire. Un’antica tradizione mediterranea e vicino-orientale collega il vino sia alle feste agricole, sia a solennità cultuali legate alla fecondità e quindi ai defunti.

Liquido vitale, il vino veniva libato, cioè versato al suolo in onore dei defunti oppure serviva per spengere la pira sul quale i cadaveri erano stati cremati. Nei Persiani, Eschilo attesta che il vino, con l’aggiunta di acqua, olio e miele serviva a rinvigorire il morto nella sua dimora d’oltretomba; anche etruschi e romani associavano vino e libagione al culto funebre. Il vino combatte simbolicamente al morte, è seme d’immortalità.

Quanto al carattere di Dioniso come dio “della vite” e “del vino”, esso accrebbe la sua influenza fra VI e V secolo a. C. nell’àmbito di culti che avevano senza dubbio rapporto con la vegetazione, quindi da una parte con la fecondità, dall’altra con il mondo dei morti e del sottoterra e pertanto con la divinazione e la profezia, che alla visita in quel mondo si collegava.

La bipolarità del vino è segnalata anche dai suoi più entusiastici adepti, come il poeta Alceo, che dichiara che un dio lo concesse all’uomo per dimenticare gli affanni liberando la mente, ma denunzia il pericolo di lasciarsene incatenare.

Sembra insomma che non ci sia poi niente di nuovo in queste ammonizioni contemporanee a “consumare con moderazione”, senonché oggi il consumo del vino, in particolare di quello più tradizionale, il “rosso”, è in netto calo, sebbene non in declino, anche sulle sponde dell’Europa mediterranea. Complice il cambiamento nei consumi alimentari (meno carne rossa, per esempio), la concorrenza di aperitivi e di sparkling più amati dai giovani, la prevalenza di pranzi e cene fast che meno si sposano con la lentezza del vino. È una sfida più ampia, quella che lo attende: che coinvolge nel complesso la nostra cultura, rispetto alla quale le etichette irlandesi non rappresentano che un sintomo assai modesto.

Difendiamoci, quindi. Consumo serio e responsabile, ma niente paura e niente cedimento alla intimidazioni. Ripetiamolo, sulle note del Don Giovanni del grande Mozart: “Viva le donne! Viva il buon vino! Sostegno e gloria d’umanità!”

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