Giovedì 25 Aprile 2024

Più Zorro che libertino, quel muto di Casanova

Nel ’27 il regista russo rifugiato in Francia Volkoff realizzò un kolossal europeo da far invidia a Hollywood. Con un eroe gaglioffo e ribelle

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di Silvio

Danese

Nella battaglia del cinema muto quasi-sonoro tra Hollywood e il resto del mondo c’è un Casanova, il mito del desiderio per ogni maschio, e anche per ogni femmina secondo l’onnipotente mappa erotica di ogni maschio. Come un colossal di bandiera del Vecchio Continente, il Casanova del russo esiliato in Francia e frequentatore del buon gusto italiano Alexandre Volkoff esce con un lancio internazionale a Parigi il 13 settembe del 1927, mentre oltreoceano, qualche giorno dopo, il 6 ottobre, spicca il volo in sala nientemeno che il primo film sonoro, The jazz singer di Alan Crosland.

E kolossal poderoso, questo Casanova ora pregiatissimo restauro offerto ieri (e in replica oggi) in chiusura alle Giornate del cinema muto di Pordenone, lo era davvero: girato a Venezia durante il carnevale e poi a Strasburgo e Grenoble per le scene in Austria e in Russia, centinaia di costumi, trucco e parrucco d’epoca che tengono ancora il primo piano, interni sontuosi tra balli, sedute dei dogi e corte di Caterina II, due ore e mezzo di film, come il Ben Hur di Fred Niblo o I dieci comandamenti di De Mille.

Certo, sfida impari. A qualsiasi Casanova rivisitato da altre cinematografie Hollywood poteva opporre la quintessenza in carne e ossa: Rodolfo Rudy Valentino. Ma: Valentino era morto un anno prima...

Chi avrà la fortuna di vedere questo magniloquente, spesso farsesco, divertente, film d’avventura sentirà l’eco del cappa e spada alla Douglas Fairbanks più che il languido melò erotico e machista, e incontrerà uno dei più grandi interpreti della storia del muto, versione belletto settecentesco: Ivan Mosjoukine, morto a Parigi nel ’39 nella povertà toccatagli in sorte dopo l’avvento del sonoro, ma ai tempi di questo Casanova primo inter pares tra le tre superstar maschili europee, con Emil Jannings e Conrad Veidt, fuggito come Volkoff dalla rivoluzione bolscevica e, a differenza di Valentino, in fama di autentico seduttore nella vita.

Quale Casanova, però? Non il disperato Don Giovanni un po’ cialtrone, ossessivo, in gara con se stesso nelle performance sessuali secondo SutherlandFellini (1976), nella Venezia oscura di candelabri, mutandoni e laguna plastificata, la distruzione del mito pur ispirandosi alle Memorie: "Tutto quello che si vede è ciò che Casanova vede all’interno dei suoi occhi impietriti" (Fellini). Né l’indimenticabile filosofo disincantato di Il mondo nuovo di MastroianniScola (1982), né il simpatico briccone “bon ton“ di FerzettiSteno (1955) o l’improbabile gaglioffo in ambiente proto-femmminista di LedgerHallstrom all’alba degli anni Duemila.

E mettiamo in conto rivisitazioni il doppio Casanova, tra ‘700 e i nostri giorni, di Gabriele Salvatores, che sta finendo una sua versione del personaggio dal testo di Schnitzler Il ritorno di Casanova, per raccontare invece la resistenza al gioco di seduzione come una identità impossibile da abbandonare.

Il Casanova di Mosjoukine e Volkoff, appartiene invece a un altro mondo del racconto cinematografico e a un altro scopo, assai prima del cinema d’autore: raccontare il ‘700 libertino secondo la percezione popolare dei primi del ‘900 esaltando le potenzialità mimetiche, spettacolari, di una grande produzione. Casanova si fa beffe dei potenti inventando magie da un librone per sbruffoni. Casanova galoppa nella steppa per sfuggire ai ladroni invece di viaggiare in carrozza. Casanova si fa limare le unghie a corte di Caterina II sconcertando gli aristocratici. Tira di scherma invece di duellare con la pistola. Un eroe, un furfante e un protettore degli indifesi che ricorda Zorro, personaggio che il russo Misjoukine amava moltissimo.

Sappiamo che lavorando alla sceneggiatura, Volkoff e Mosjoukine avrebbero utilizzato la prima edizione integrale francese delle Memorie e l’edizione russa di una scelta di capitoli, stampata a Berlino nel 1923. Questo ribadisce la volontà di intrattenere ed epicizzare un gusto del cinema proprio al limite di una travolgente trasformazione.

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