Venerdì 19 Aprile 2024

Pif: "Ragazzi, il mafioso non è un mito"

Bacchettate al Padrino e ai boss in tv: "È sbagliato far vedere ai giovani il criminale come un modello". Al via la seconda stagione della serie "La mafia uccide solo d’estate"

Pif e una foto di scena di 'La mafia uccide solo d'estate'

Pif e una foto di scena di 'La mafia uccide solo d'estate'

Milano, 21 aprile 2018 - Non c’è più la mafia di una volta. Giovedì 26 aprile debutta su Raiuno la seconda stagione della serie "La mafia uccide solo d’estate", tratta dal film di Pif, che è ospite domani a “Link” 2018, il festival del buon giornalismo del Premio Luchetta. «È un’operazione artistica che ormai non mi appartiene più, nonostante ne sia il padre. La regia la fa un altro, gli attori si impossessano dei personaggi... È come se ti capitasse di pensare che tuo figlio è triste, invece è di là che si diverte con gli amici, e senti la musica in sottofondo".

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Dilaga il fenomeno delle serie tv ricavate dai film... "Non tutti i film si prestano. Già mentre scrivevo il film pensavo: speriamo che vada bene perché sarebbe bello ricavarne una serie. C’erano tante cose da raccontare, tutte non ci stavano in un’ora e mezza di film. E forse non ci staranno neppure nella serie".

Oltre a quello artistico lei ha anche un intento didattico, spiegare ai giovani cosa è davvero la mafia... "Non lo chiamerei didattico. Credo però che la serie sia davvero uno strumento di lotta alla mafia. Parliamo di una mafia che non esiste più, una mafia che era molto addentro alla politica, molto sfacciata. La mafia è cambiata ma i meccanismi restano gli stessi, la mentalità è sempre quella. Una volta i mafiosi erano rispettati, anche ammirati, avevano fascino. Invece bisogna smitizzarli, i ragazzini devono crescere senza vedere il mafioso come un mito. Sarò presuntuoso, ma sono davvero convinto che una serie come questa possa far bene".

Lei parla di smitizzare la mafia, ma ci sono altre serie – di cui non farò il titolo – che invece propongono figure di camorristi affascinanti, carismatici. Che ne pensa? "È una antica discussione, una grande domanda. Quello che mi fa veramente arrabbiare è quando l’enfasi è posta su qualcosa di falso, che non esiste. Per esempio “Il Padrino” – un film bellissimo, darei il braccio destro per averlo girato io – ha proposto un’immagine della mafia per cui ancora adesso, quando andiamo in America, se dici che sei siciliano ti rispondono “mafioso”. Chissà quando ci libereremo di tutto questo. Comunque non credo che un ragazzo diventi camorrista perché vede una serie, la colpa non è della tv, ma della società, della politica".

I camorristi televisivi sono eleganti, fascinosi. Mentre Totò Riina andava in giro con una giacca sformata e pantaloni sdruciti... non è un falso anche questo? "Ma Totò Riina apparteneva a una mafia campagnola che non esiste più Anche Bernardo Provenzano, l’uomo più ricco d’Italia e forse d’Europa, viveva sottoterra mangiando pane e cipolla. E ti veniva spontanea la domanda: ma chi te lo fa fare? Magari è meglio guadagnare meno e andare a godersi il mare. Ma forse è sempre vero che comandare è meglio che fottere. Oggi comunque è diverso. Non credo che Mattia Messina Denaro viva sottoterra, penso che si goda il frutto dei suoi traffici alla luce del sole".

La prima grande serie tv dedicata alla mafia fu “La Piovra”. Che giudizio ne dà, oggi? "Ero piccolo, la ricordo poco, l’ho seguita fino alla morte di Cattani. Rammento che se ne parlava in casa, ma non come una cosa che ci riguardasse direttamente, vivevamo in una realtà parallela. Non riuscivamo a credere che un giorno la mafia sarebbe stata sconfitta o, almeno, che si potesse godere di maggiore libertà dalla mafia. Oggi invece esistono più di mille negozianti che non pagano il pizzo e che non subiscono ritorsioni. Anzi in alcune intercettazioni qualche mafioso dice a un altro di non andare in quel negozio perché non paga il pizzo. Dobbiamo liberarci della sindrome del Gattopardo, “tutto deve cambiare perché nulla cambi”. Bellissimo, ma adesso passiamo a un altro libro".

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