Venerdì 19 Aprile 2024

Ron Howard: "Pavarotti, il tenore del popolo"

Il regista e il documentario sul Tenorissimo: voleva essere ricordato per aver portato la lirica alle masse

Luciano Pavarotti

Luciano Pavarotti

Roma, 19 ottobre 2019 - Gli chiede Nicoletta: "Come vorresti essere ricordato tra cento anni?". E lui, di getto, guardando nella telecamerina della moglie: «Vorrei essere ricordato come l’uomo che ha portato la lirica alle masse». È uno dei tanti frammenti che compongono il ritratto, coinvolgente e intimo, di Luciano Pavarotti, scomparso a Modena, la sua città, a 71 anni, nel 2007, realizzato dal regista premio Oscar, Ron Howard, presentato ieri alla 'Festa del Cinema di Roma'. Pavarotti, questo il titolo del documentario nelle sale il 28, 29 e 30 ottobre, distribuito da Nexo Digital.

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Un racconto che abbraccia tutto l’arco della vita e della carriera del grande tenore, grazie ai tanti materiali filmati, molti dei quali inediti, e alle tante interviste rese da colleghi, manager, amici, da Placido Domingo a Josè Carreras (i 'Tre tenori') al Bono del 'Pavarotti & Friends'. E soprattutto quelle rilasciate dai familiari, le tante donne della sua vita, per la prima volta disposte a raccontare davanti a una telecamera il loro Luciano.

Howard, il suo terzo documentario su grandi stelle della musica, molto differenti tra loro. Com’è nato questo dedicato a Pavarotti? "Era stata un’esperienza straordinaria la realizzazione del documentario sui Beatles, e poi dell’altro su Jay-Z. Quando mi hanno proposto questo su Pavarotti, ho accettato con entusiasmo e ho cominciato subito a leggere molte cose su di lui. E a guardare tanti filmati di sue esibizioni e, da non esperto di opera quale sono, ma da regista, ho cominciato ad avvertire che nelle arie che cantava, c’era anche qualcosa della sua vita. Qualcosa che lo legava al melodramma. Perché la sua è stata una vita di successi, di viaggi, di riconoscimenti, ma anche accompagnata da episodi che avevano lasciato il segno nel suo animo".

A cosa si riferisce in particolare? "A quello che aveva vissuto da bambino. Non solo l’esperienza della guerra, ma soprattutto l’essere stato vicino alla morte per il tetano. Aveva deciso che doveva vedere ogni giorno come un’opportunità. Invidio il suo modo di vivere, adoro la sua gioia, il modo in cui apprezzava la vita. Era un genio dal punto di vista artistico, e una persona unica e indimenticabile che meritava di essere celebrata. Spero soprattutto che questo documentario possa in qualche modo portare avanti il suo impegno per avvicinare all’opera chi ancora non la conosce".

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Avete avuto la collaborazione dei familiari? "Nicoletta Mantovani ci ha fornito tantissimo materiale, anche della Casa Museo Pavarotti di Modena, e ci ha aiutati anche a contattare alcuni personaggi. Ma anche la prima moglie di Pavarotti, Adua, e le loro tre figlie, Giuliana, Lorenza e Cristina, ci hanno dato fiducia e, per la prima volta, hanno rilasciato un’intervista. Intervista sincere, coraggiose, che veramente più di tutte le altre, hanno permesso a me, e credo anche a chi vedrà il documentario, di capire Pavarotti uomo".

Da attore (tra l’altro come Richie Cunningham di 'Happy Days') a regista, da pellicole da Oscar come 'A Beautiful Mind' ai documentari. Le piace cambiare? "Sì mi piace cambiare. Ho iniziato da bambino, a 4 anni, a fare l’attore. A 14-15 sapevo che avrei voluto fare il regista e a 22-23 anni, lo ero già e con un discreto successo. Ma non volevo limitarmi a essere un regista di thriller piuttosto che di un altro specifico genere. Volevo spaziare. Non ho studiato molto e la mia scuola è stata la vita. Negli ultimi cinque anni ho fatto documentari, e l’ho trovato stimolante e gratificante. Ho figli grandi e non ho hobby, per cui quello che mi interessa fare è vedere i figli quando possibile, e lavorare. Le nuove tecnologie aprono nuove possibilità ed è bello sperimentare. Felice per esperienza, passione ed energia, continuo ad avere tanti progetti".

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