Venerdì 19 Aprile 2024

"Papaletto mio", il romanzo della figlia del Vate

Vede la luce il libro “Una donna” firmato da Renata d’Annunzio. Quel grande amore con il padre, troncato inspiegabilmente dal poeta

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di Massimo

Cutò

Che sorpresa, la Sirenetta ha scritto un romanzo. "È un libro molto bello, in certi punti di stupefacente valore espressivo. Specie nelle descrizioni. Il parto di Lina, per esempio, viene narrato in maniera sublime". Tobias Fior, curatore di Una donna edito dall’abruzzese Ianieri, non ha dubbi: la mano è quella di una figlia d’arte. L’unica figlia di Gabriele d’Annunzio. La prediletta, anche se tra lui e Renata – terzo nome all’anagrafe dopo Eva e Adriana – il rapporto fu controverso: un grande affetto prima, il grande freddo poi.

Renata, classe 1893, era il frutto di una relazione extraconiugale. Il Vate era sposato con Maria Hardouin dei duchi di Gallese, che gli aveva dato tre eredi: Mario ("il malnato" con poca voglia di studiare), Gabriellino (attore e regista) e Ugo Veniero (l’ingegnere che fece carriera in America). Ma a Napoli incontrò Maria Gravina Cruyllas, moglie del conte Anguissola: i due divennero amanti e dall’adulterio nacque, appunto, Renata. Dopo tre maschi, una femmina.

Fu un padre tenero, d’Annunzio. Le foto li vedono insieme nel Villino Mammarella a Francavilla, sull’Adriatico, e alla Capponcina. "Papaletto mio caro, da ieri che ho ricevuto la lettera tua, la porto sempre con me e non mi par vero che tu ti ricordi della tua Cicciuzza", gli scrive a sei anni tra un nomignolo e l’altro. Renata è un amore purissimo. Lo scrittore non si dimostra però padre assiduo. Le frasi della piccola sono eloquenti: "Invano ho aspettato una tua lettera... Tu sai quanto mi fa piacere una tua parola, ma non voglio rimproverarti". La distanza, il tempo, la rottura tra Gabriele e Maria Gravina ripudiata: gli abbracci si diradano.

Ma nel novembre 1915, con la Grande Guerra in atto, lui la chiama a sé ed è una decisione provvidenziale perché d’Annunzio ha indossato l’uniforme di Poeta soldato. Il 16 gennaio 1916, sull’idrovolante guidato da Luigi Bologna, batte la testa nell’ammaraggio davanti a Grado. L’impatto violento gli costa la perdita della vista all’occhio destro. L’Orbo veggente – così si definirà – immobilizzato a letto, bendato, immerso nell’oscurità, scrive il Notturno nella Casetta Rossa di Venezia. Il suo angelo è proprio Renata, diventata una donna di 23 anni, la Sirenetta che l’assiste devota e ritaglia diecimila cartigli. Su quelle strisce prende corpo il capolavoro.

Il periodo veneziano è fondamentale per la crescita di Renata. Frequenta artisti e combattenti, s’innamora del pilota Giuseppe Miraglia che resta ucciso in un incidente aereo. Senza saperlo, nella sua mente il romanzo comincia a svilupparsi. Personaggio chiave nella storia di Lina, la ballerina protagonista, è l’ufficiale Mario Berni (da lei amato) che muore in battaglia, alias di Miraglia. E in uno dei capitoli più intensi Lina accorre al capezzale del padre morente, ricevendone una pacificatrice carezza.

Renata allevia la disabilità di Gabriele e prende appunti: vuole raccontare quei momenti in un diario, esortata alla scrittura da Gabriele. Ma c’è una frattura tra padre e figlia. Lei gli chiede di raccomandare il manoscritto all’editore Treves; lui si rivolge invece a Mondadori, che versa un anticipo e arriva a Gardone – d’Annunzio e la figlia si sono trasferiti al Vittoriale – per il contratto. Inspiegabilmente la trattativa si interrompe. Il 7 dicembre 1921 il poeta scrive al segretario Antongini: "In quel che riguarda il libretto di Renata, desidero che tutto sia differito sine die".

"Nessuno sa che cosa sia accaduto", spiega Tobias Fior. "Difficile credere che lo scrittore temesse il confronto tra quel diario e il Notturno uscito nel ‘21 in edizione definitiva. Certo aveva disapprovato il matrimonio della figlia con Silvio Montanarella. L’accusava di bussare a denari. La verità è che le pagine di Renata raccontavano d’Annunzio nudo, sofferente, oppresso dalla cecità. Questo un superuomo non poteva tollerarlo".

Il Vate muore nel ‘38. La figlia tra il ‘48 e il ‘52, accantonato il diario, scrive il romanzo Una donna. Testo forte, lessico ricercato, echi dannunziani. Denuncia la discriminazione dell’universo femminile, riferita a un’epoca in cui l’emancipazione era un miraggio. Ma il dattiloscritto resta chiuso in un cassetto finché – Renata muore nel ‘76 – quarant’anni dopo rispunta dall’archivio familiare, viene donato alla Fondazione del Vittoriale e ora pubblicato. La Sirenetta riposa a Gardone. Finalmente ha avuto quel che ha donato.

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