
Daniele Panebarco
Roma, 20 giugno 2025 – Panebarco, cominciamo dalla buona notizia?
"Quale?".
Che ha creato un’altra storia, dopo tanto tempo
"Sì ho ripreso a fare fumetti, per mio piacere personale, per riempire il tempo e poi perché da tempo avevo in testa una storia da raccontare".
Per chi leggeva le riviste a fumetti negli anni Settanta e Ottanta (dal Mago a Linus, da Orient Express a Cuore, e via dicendo), Daniele Panebarco, classe 1946, è un grande protagonista della vivace creatività di quel periodo. Da uomo di sinistra fa satira sulla sinistra, raccontando anche la provincia italiana e il suo rapporto con il comunismo. Nel 1992 dice basta con i fumetti (anche se non è proprio così, come vedremo) e fonda una società che si occupa di Cd rom educativi, poi di progetti di ricostruzione 3d di siti archeologici, musei e spazi espositivi. L’altra svolta avviene grazie ai tre figli (Marianna, Matteo e Camilla) che creano una delle realtà più interessanti dell’animazione italiana.
In una delle sue storie fa dire al ‘suo’ Lenin cosa sia il comunismo.
"È correre nei prati in fiore e mangiare le mele senza passare per il settore terziario".
Oggi come lo definirebbe?
"Come l’Europa Unita: una bellissima idea difficile da realizzare, poi certo io ho avuto e ho i miei dubbi sul comunismo a differenza di mio padre"
Era un duro e puro?
"Certo! Pensi che una mattina del marzo 1953 mi sono alzato per andare a scuola e ho trovato i miei genitori in lacrime: era morto Stalin. Sono cresciuti nel mito della piena occupazione in Unione Sovietica. In quegli anni era un tema molto sentito. Mio padre era abbonato a Nuova Cina, rivista scritta in cinese con traduzione in francese. Lo prendeva per staccare le pagine con le foto delle fabbriche dove andare a cercare lavoro. Per non parlare della domenica".
Che succedeva?
"Quasi ogni domenica pomeriggio io mio babbo e mia mamma andavamo in giro per cercare fabbriche e impianti vari dove lui potesse trovare un impiego".
Torniamo al fumetto, Panebarco. Finalmente una nuova pubblicazione
"Pubblicazione? Per ora è solo nel cassetto. Ho finto la versione per smart tv, devo finire quella per il cartaceo. Farla vedere? vedremo".
Che storia è?
Con i suoi personaggi storici come Big Sleeping. Nick Martello, Il Grande Karl, il Piccolo Lenin?
"No, è una storia ambientalista, con animali antropomorfi, sul controllo dell’acqua e delle altre risorse naturali. Ambientalista e geopolitica. È una distopia scanzonata, ironica, dove voglio raccontare le miserie e la stupidità del mondo attuale. È ambientata nella città-mondo di Annevar (anagramma di Ravenna, la città dove vive, ndr). È una specie di Miserabili dei giorni nostri, infatti uno dei personaggi è ispirato a Gavroche, come il monello del romanzo di Victor Hugo. In realtà non è cupa come I miserabili, è molto lunga come I miserabili".
Perché si definisce un fumettista che non sa disegnare?
"Perché i miei primi lavori erano orribili".
Nonostante questo, Il Mago le pubblica le storie di Big Sleeping nel 1976.
"Fruttero e Lucentini dirigevano Il Mago e a loro i miei lavori non piacevano. Per fortuna a Beppi Zancan piacevano e quando diventò direttore li pubblicò. Devo molto a Zancan e anche a mia moglie che mi ha mantenuto dopo che lasciai il lavoro in banca".
Perché lasciò?
"Se fossi rimasto sarei morto..."
C’è un autore a cui si è ispirato?
"Se faccio fumetti lo devo a Schulz e ai Peanuts".
La satira oggi ha ancora un ruolo?
"Secondo me sì, anche se non so se i giovani comprendano quel tipo di satira che facevo io".
Chi le piace tra gli autori di oggi?
"Zerocalcare: mi piace il disegno, così come le battute fulminanti".
Il suo Big Sleeping avrebbe ancora spazio?
"L’ho ripreso in mano, è sempre in quel cassetto".
Ma quanta roba c’è nel cassetto?
"Dal 2015 a oggi direi 5mila tavole".
Cosa servirebbe per farle tornare la voglia di pubblicare?
"Essere più giovane. Non mi va di andare in giro per fare incontri, presentazioni. E poi lei crede che interessi a qualcuno leggere le mie cose?".
Sì.