Oscar 2023 "Le vere super eroine alla fine sono le mamme" E Michelle passa alla storia

La Yeoh prima donna asiatica a vincere come migliore attrice. Nella notte dei record del rivoluzionario “Everything, Everywhere All at Once“

di Chiara Di Clemente

La scena più commovente del film che ha sbancato con 7 statuette nelle categorie principali e infranto record nella 95ª notte degli Oscar è l’inseguimento tra due sassi. Sono sull’orlo di un dirupo. Un sasso dice all’altro: "Smettila, non dovresti essere qui, in grado di muoverti" e l’altro gli risponde: "Non ci sono regole. Ti prendo". Non ci sono regole nell’intero film Everything, Everywhere All at Once (tutto ovunque e tutto in una volta) tranne una: l’invincibilità dell’amore di una madre per la figlia.

La storia è il dramma di una madre immigrata cinese negli Usa in crisi col marito, col padre malato, con la sua lavanderia a gettoni che rischia di dover chiudere soffocata dalle tasse ma soprattutto in profondissima crisi con la figlia adolescente, gay e in fuga da lei; dinnanzi a tale tormento, la donna farà di tutto per recuperare il cuore della ragazza. La storia è dunque un dramma abbastanza canonico, pure per gli standard “hollywoodiani“ dell’Oscar; quello che esula completamente dai canoni dell’Academy è invece il modo in cui questa storia è raccontata. Ovvero lo stile “A24“, lanciato dalla casa di produzione indipendente newyorkese (Oscar 2016 con Moonlight) che sta rivitalizzando il cinema Usa, coivolgendo Millennials e Gen Z.

Horror, action, commedie o melò, nei film A24 (anche The Whale lo è) l’ingegno, la fantasia, la follia, l’autorialità dei giovani registi – i Daniels hanno entrambi 35 anni – vengono lasciati scorrere liberamente ma all’interno di una comunità dai connotati precisissimi: l’opera deve essere un’“esperienza“ che metta insieme cinefilia e instagrammabilità, valori inclusivi e marketing aggressivo, Antonioni e TikTok.

Così, in missione per ritrovare la figlia, la mamma di Everything – interpretata dalla sessantenne malese eroina di action movie Michelle Yeoh – attraversa mille universi, e mille generi cinematografici. Un multiverso che infrange saltando freneticamente da una dimensione all’altra: si trasforma in diva cinematografica esperta di arti marziali, in cantante di musical, in gay extraterrestre dotata di mani dalle dita a forma di hot dog, in assistente di uno chef che viene segretamente guidato da un procione, come in Ratatouille. Si trasforma, con la figlia, in due bambole di pezza. In due sassi. Quasi alla fine del film uno dei due sassi decide di buttarsi dal dirupo. Subito dopo – nell’universo in cui è la povera immigrata – la madre dice alla ragazza "Io vorrò sempre stare qui con te", la ragazza obietta: "Potresti essere qualsiasi cosa, ovunque, dove tua figlia non è soltanto quello che sono io. Qui al massimo potresti avere solo minime particelle di tempo in cui tutto ha davvero senso" e lei le risponde: "Vuol dire che apprezzerò anche le minime particelle di tempo. Diamoci una possibilità". E il secondo sasso si getta anche lui nel burrone.

"Voglio dedicare questo premio a mia madre e a tutte le mamme del mondo, perché sono veramente loro le super eroine. La mia è in Malesia con la famiglia, vi voglio bene", ha detto domenica notte a Los Angeles Michelle Yeoh, stringendo tra le mani l’Oscar che la consegna direttamente alla storia, prima donna asiatica a vincere nella categoria di migliore attrice protagonista. Finora l’Oscar era andato solo alla giapponese Miyoshi Umeki (Sayonara, 1958) e alla sudcoreana Yoon Yeo-jeong (Minari, 2021), e solo come non protagoniste: una lunga storia di discriminazione che ha il suo simbolo in Anna May Wong (1905-1961), la prima star sino-americana, talento straordinario relegato però da Hollywood in uno degli stereotipi più avvilenti del suo lungo impero.

La Yeoh stereotipo non è mai stata: ex Miss Malesia, ex ballerina eletta da Rotten Tomatoes la "più grande eroina d’azione di tutti i tempi" grazie a film come 007 Il domani non muore mai (1997) e La tigre e il dragone (2000), recordwoman come attrice asiatica più pagata, da circa vent’anni al fianco dell’ex boss della Ferrari Jean Todt, senza figli, attivista femminista, già ieri firmava sul New York Times un articolo quale ambasciatrice di Undp (il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) sulle sofferenze delle vittime – soprattutto delle donne – del terremoto in Turchia e Siria. "Questa statuetta è un faro di speranza e di possibilità. Sta a dimostrare che i sogni si avverano. Non lasciate che mai nessuno vi dica che avete superato una certa età per sognare", ha aggiunto Yeoh sul palco del Dolby Theatre. Quasi le stesse parole che dice in Everything abbranciando, finalmente, la figlia: "Possiamo fare tutto quello che vogliamo".

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