Martedì 23 Aprile 2024

Orrore e giustizia, l’ultimo pm di Norimberga

Morto a 103 anni Benjamin Ferencz: nel 1947 rappresentò l’accusa contro i reparti speciali nazisti. Una vita per la legalità internazionale

Gerarchi nazisti a Norimberga

Gerarchi nazisti a Norimberga

"È con dolore e speranza che riveliamo il deliberato massacro di oltre un milione di uomini, donne e bambini innocenti e indifesi": così Benjamin Ferencz esordì davanti ai giudici del Tribunale internazionale di Norimberga, sostenendo l’accusa contro 22 militari tedeschi appartenenti agli Einsatzgruppen, le formazioni che si erano distinte, durante la seconda guerra mondiale, sterminando ebrei, rom, partigiani fatti prigionieri e altri “indesiderati“ in vari paesi dell’est Europa. Era il 1947 e Ferencz aveva appena 27 anni: l’avvocato-soldato, divenuto procuratore nel processo contro i criminali tedeschi, è morto nei giorni scorsi in Florida all’età di 103 anni. Era l’ultimo pubblico ministero ancora in vita fra i numerosi coinvolti nei processi celebrati dagli Alleati nella città simbolo del nazismo.

La requisitoria di Ferencz proseguiva così: "La vendetta non è il nostro obiettivo, né cerchiamo solo una giusta punizione. Chiediamo a questa corte di affermare con un’azione penale internazionale il diritto dell’uomo a vivere in pace e dignità, indipendentemente dalla sua razza e dal suo credo. Il caso che presentiamo è un appello di umanità al diritto". Quello affidato a Ferencz come procuratore capo era uno dei “processi minori“ di Norimberga, parallelo a quelli affrontati dai gerarchi del nazismo, i vari Göring, von Ribbentrop, Hess, Bormann, ma non era meno importante.

Era – certamente – un processo più simbolico che di giustizia sostanziale, con appena ventidue imputati a fronte di azioni criminali compiute su più fronti e in un vasto arco di tempo. Ferencz ne era ben cosciente, come raccontò qualche anno fa in’intervista al Guardian: "Perché solo ventidue? Perché c’erano solo ventidue posti sul banco degli imputati. Era ridicolo, ma era simbolico. Stavamo cercando di mostrare alla gente che cosa può accadere se un leader carismatico viene seguito ciecamente dal suo popolo. Gli imputati non erano bestie feroci con le corna: erano persone istruite, uno era padre di cinque figli". Tredici dei ventidue imputati furono condannati a morte e quattro sentenze furono eseguite.

Per Ferencz il processo fu l’avvio di un impegno per la pace e la giustizia sovranazionale durato tutta la vita, con il motto “La legge, non la guerra“. Nato in Transilvania (Romania) nel 1920 e approdato negli Stati Uniti a nemmeno un anno di età, il futuro pm di Norimberga, fresco di laurea ad Harvard, tornò in Europa come combattente, in un battaglione di artiglieria antiaerea. Sbarcò in Normandia durante l’offensiva del D-Day, combatté la battaglia delle Ardenne.

A liberazione avvenuta, grazie ai titoli accademici, fu aggregato alla squadra creata dal generale Patton per indagare sui crimini di guerra nazisti: visitò i campi di Buchenwald, Mauthausen, Flossenbürg, Ebensee appena liberati: "È come se avessi scrutato l’inferno", avrebbe detto tempo dopo. Rientrato negli Usa, si dedicò con libri, interventi, conferenze alla costruzione di un sistema di leggi, istituzioni e tribunali in grado di preservare la pace e punire crimini di guerra e genocidi. Era un impegno che scaturiva dalle sue esperienze a Norimberga ma anche da una riflessione attorno alla guerra in Vietnam.

Quando la Corte penale internazionale dell’Aja, nata nel 2002, istruì il suo primo processo, Ferencz fu invitato a partecipare come collaboratore del pubblico ministero. La nascita della Corte dell’Aja era il frutto anche del suo impegno, un’istituzione nata in coerenza con le sue idee. Nell’ultima intervista – alla Cbs, l’anno scorso – disse che Vladimir Putin, con l’aggressione all’Ucraina, andava incriminato, come poi è avvenuto; lo stesso aveva detto di George W. Bush al tempo della guerra all’Iraq.

Ferencz non era un ingenuo, né un illuso. Ben sapeva che la Corte internazionale, cui non partecipano paesi guida e spesso coinvolti in conflitti, come il suo, gli Stati Uniti, ma anche la Cina, Israele e la stessa Russia, è un’istituzione debole, priva di adeguati poteri esecutivi. "Sono tre – diceva – le gambe su cui poggia la civiltà giuridica: leggi che definiscono ciò che è lecito e ciò che non lo è, tribunali per giudicare chi vìola le leggi e un sistema di applicazione efficace delle regole stabilite. Abbiamo solo due gambe, entrambe traballanti, e la terza, l’applicazione concreta, nemmeno esiste".

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