Tom Wolfe lasciamolo stare. L’Italia ha avuto Luciano Bianciardi che anticipò (cinquant’anni fa) quelli che (i diritti sono di Beppe Viola) si atteggiano a intellettuali. Viene ristampato da Neri Pozza – per fortuna – Non leggete i libri, fateveli raccontare. Uscì a puntate per Abc che era un settimanale fondato da Enrico Mattei in quella Milano presa tra la morsa industriale e il boom economico da una parte e dall’altra da una creatività, anche per risposta, davvero micidiale. Bianciardi era un maestro. E tratteggia in questo libello – che in modo altisonante potrebbe essere definito anche un saggio – come si diventa un intelletuale. A uso e consumo degli italiani. Un percorso assai simile ai protagonisti, comprimari e consimili di quelli che si atteggiano intellettuali ora nei talk show e in più generale in tv. Bianciardi è micidiale anche, con il suo sarcasmo, nel confutare gli anglicismi che prendono già piede in quella lingua italiana contaminata dall’esterofilia. "Establishment – scrive Bianciardi – parola abbastanza infelice che indica il gruppo dei padroni del vapore, nel nostro campo". E lui infatti, li chiama (letteralmente) eversori dello stabilimento. Alla fine come si diventa intellettuali? Si ostentano umili origini, si parla di ciò che spesso s’ignora, si sposa una castellana moderna. E nel frattempo succede anche si sia disimparato a scrivere.
Matteo Massi
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