Giovedì 18 Aprile 2024

Orgoglio Crowe, il Gladiatore che si è fatto da sé

L’attore neozelandese (ri)conquista Roma e si racconta: "Niente scuole di recitazione, non sono un prodotto di Hollywood"

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di Beatrice Bertuccioli

Dici Russell Crowe e pensi al generale romano Massimo Decimo Meridio e anche se gli anni sono passati e il fisico non è più quello, il carisma è rimasto intatto. E allora le regole le detta lui, di fatto l’unica star internazionale in grado di accendere entusiasmi e far risplendere la Festa del cinema di Roma. E quindi niente foto e niente video, ordina, durante la conferenza stampa che, con le sue risposte torrenziali si trasformata in una sorta di ininterrotto, avvincente monologo.

E allo stesso modo sabato aveva scardinato tutta la liturgia prevista per la sua affollatissima masterclass, clip di suoi film e a seguire commenti, per parlare a ruota libera della sua vita e della sua straordinaria carriera, consacrata nel 2001 dall’Oscar come migliore attore protagonista per Il Gladiatore di Ridley Scott. Ospite d’onore di Alice nella Città, la manifestazione autonoma e parallela della Festa, ha presentato in anteprima mondiale The poker face (dal 24 novembre nei cinema), di cui è protagonista e regista, alla sua seconda prova dietro alla macchina da presa otto anni dopo The water diviner.

Tutto in una città, Roma, che è nel suo cuore, anche di tifoso: "Ho sempre apprezzato – dice sornione, incalzato dai giornalisti – la generosità dei tifosi della Roma, la loro amicizia, l’amore che mi mostrano quando mi incontrano per strada, ma… il Colosseo è nel Lazio, e qui finisce la conversazione".

"Mi è stato chiesto di dirigere The poker face appena cinque settimane prima della data prevista dell’inizio delle riprese perché il regista aveva avuto dei problemi. I soldi c’erano ma la sceneggiatura era incasinata e mancava anche il cast. Era un momento particolare per me perché avevo appena perso mio padre e eravamo nel pieno della pandemia e Sidney – racconta Crowe – stava per entrare in uno dei lockdown più rigidi. Cosa faccio?, mi sono chiesto. E ho pensato a cosa avrebbe fatto mio padre. C’erano 280 componenti della troupe che rischiavano di rimanere senza lavoro e di conseguenza non avrebbero saputo come dare da mangiare alle loro famiglie. La stragrande maggioranza dei miei amici vengono da questo mondo e quindi, anche se sono abituato a preparare il lavoro con tutto il tempo necessario, ho deciso di accettare. Una sfida, un’impresa impossibile ma fare film è nel mio dna".

Perché ha iniziato da bambino, a sei anni. "Ma non come bambino prodigio, come bambino comparsa. Mia madre si occupava dei catering sui set. Un giorno la vado a trovare e mi offre per le riprese di un film dove non avevano abbastanza ragazzini. Così è cominciato un viaggio che continua ancora oggi. Tutto quello che so l’ho imparato lavorando, non ho mai frequentato nessuna scuola di recitazione".

E ha fatto di tutto. "Da ragazzo per mantenermi lavoravo nei nightclub come dj, facevo centinaia di recite nei teatri, a volte preparavo cocktail nei bar. Questo sono io, altro che un prodotto di Hollywood. Quando ho fatto il mio primo film, a 25 anni, avevo già alle spalle duemila performance dal vivo".

Sfoggia tutto l’orgoglio di chi ce l’ha fatta: "Sono nato nel 1964 a Wellington, in Nuova Zelanda. Sono nato outsider, non ricordo neanche se a casa avevamo la tv ma i sogni sono nutrimento e a un certo punto scopri che li stai realizzando. È una sfida continua e io cerco sempre qualcosa di speciale, voglio essere l’unico, non l’ennesimo che fa Shakespeare".

E quindi non si è tirato indietro di fronte a questa nuova sfida. "Mi sono messo a lavorare e a quel punto – prosegue – tutta la mia esperienza, tutto quello che ho fatto nella mia carriera mi hanno aiutato a creare il film. In nove giorni ho scritto la prima stesura della sceneggiatura, in altri quattro la seconda e di notte, perché erano all’estero, chiamavo i colleghi per cercare di coinvolgerli. E poi tutti i pezzi del mosaico si sono composti e siamo andati avanti anche se in una situazione estremamente difficile".

Il film racconta di un giocatore d’azzardo miliardario, malato, che offre ai suoi migliori amici la possibilità di vincere una somma eccezionale ma a una condizione: che rivelino un loro segreto. "Quello che doveva essere un film d’azione – spiega - è diventato un film che parla di eredità, di un uomo che ha tutto, tranne il tempo". E ripete: "È stata la sfida perfetta arrivata per me a questa età".

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