Venerdì 19 Aprile 2024

Oppio e non solo: l’archeologia delle droghe

Scoperta in Israele la più antica testimonianza di uso della sostanza derivata dal papavero: 1500 a. C. Una “tradizione“ mai interrotta

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di Aristide Malnati

Ma gli antichi facevano uso di droga? E, se sì, quali sostanze stupefacenti consumavano? E in quali occasioni? La risposta è largamente positiva e l’utilizzo di sostanze inebrianti, allucinogene o che comunque alteravano il comportamento è testimoniato già oltre tre millenni fa nell’Antico Vicino Oriente.

Una recente scoperta nella necropoli dell’insediamento cananeo di Tel Yahud (in Israele, non distante da Tel Aviv), ha rivelato numerosi frammenti di almeno otto piccole anfore di argilla appartenute al corredo funebre di defunti di differente status sociale: lungo le pareti dei cocci sono state accertate tracce di oppio. Addirittura alcuni di quei vasetti, conservati per intero, avevano la forma curiosa e non casuale del fiore di papavero rovesciato a ricordare la provenienza del loro contenuto, seppellito accanto al cadavere tumulato.

È questa la più antica testimonianza dell’utilizzo di oppiacei: risale a un periodo attorno al 1500 a. C., come rivela l’analisi stratigrafica della necropoli, ed è più antica di ottocento anni dei resti di cannabis rinvenuti a Tel Arad, nel Negev israeliano, in un edificio di culto. Ma perché l’impiego, presumibilmente sistematico, di oppio tra i cananei in tempi così remoti?

Gli studiosi, dato il contesto di provenienza, lo attribuiscono al tentativo di agevolare il passaggio e la vita del defunto nell’aldilà, volendolo quasi inebriare e così rendere più pronto per un’esistenza trascendente.

Le finalità di darsi a droghe (e all’alcol), a partire dai sumeri e dagli egizi, tuttavia aveva motivi solitamente molto più concreti e profani: si voleva già a quei tempi allentare i freni inibitori, magari durante festini licenziosi, per godere appieno di momenti di esaltazione collettiva.

I sumeri poi, per primi, hanno somministrato l’oppio come analgesico, per calmare ad esempio i dolori del parto o un semplice mal di denti (che allora poteva causare infezioni anche mortali), e i babilonesi davano oppio in modo generico ai bambini che piangevano spesso e senza un motivo.

Gli egizi furono grandi consumatori di birra e, successivamente, di vino (Tut Ankh Amon apprezzava i rossi di Cipro, di cui si è conservata traccia nel vasellame nella sua tomba): ne facevano abbondante uso rituale sotto la guida dei sacerdoti delle loro numerose divinità durante cerimonie sacre, ma anche nel corso di party con ballerine e cantanti vestite unicamente con gonnellini ridotte.

In riva al Nilo in seguito, durante il periodo tardo (prima metà del primo millennio a. C.), sono testimoniati casi di vera e propria dipendenza da droghe e da alcol, a volte da entrambe le sostanze insieme, che poteva costituire un allarme sociale: questo anche perché simili sostanze, a detta dei sessuologi di quei tempi, riuscivano a migliorare le prestazioni sessuali, garantendo in particolare un elevato numero di orgasmi uno dopo l’altro.

Se veniamo poi in Grecia e a Roma largamente diffusa fu la masticazione dei fiori di loto, che aveva effetti inebrianti, o l’assunzione di altre sostanze allucinogene, magari in gruppo, come durante i misteri eleusini (nella città greca di Eleusi, dove si celebravano riti in onore di Demetra), tanto da generare fenomeni di trance collettiva: in questo modo, secondo alcuni filosofi (ad iniziare da Pitagora), si era agevolati nel concentrarsi per arrivare alle verità supreme.

I romani, infine, più pratici e concreti, usavano droghe per sedicenti benefici in medicina: Galeno (129-201 d. C.), luminare in camice bianco, medico personale dell’Imperatore Marco Aurelio, prescrive oppio a quest’ultimo come antidoto contro la peste, una specie di vaccino “ante litteram”.

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