Martedì 23 Aprile 2024

Non tradì l’America: Biden riabilita Oppenheimer

Sospettato di comunismo, nel 1954 il padre della bomba atomica fu escluso dai progetti segreti e dai laboratori di ricerca

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di Lorenzo Guadagnucci

Contrordine. Robert Oppenheimer, il padre del Progetto Manhattan e della bomba atomica, non era comunista e non flirtava con l’Unione sovietica e tanto meno tradì gli Stati Uniti, insomma non meritava, nel 1954, d’essere escluso dai progetti segreti sulla sicurezza nazionale e dai laboratori di ricerca sull’energia atomica; non meritava d’essere messo ai margini della storia col sospetto d’ignominia. Il presidente Biden, annullando il vecchio provvedimento, ha quindi “riabilitato” il geniale fisico newyorkese, l’eroe ripudiato, morto solo e dimenticato nel 1967, all’età di 62 anni. Un perdono – senza autocritica – decisamente tardivo, ma certamente spiegabile, perché i tempi e modi della politica sono crudeli, specie se attraversati, come avveniva negli Stati Uniti degli anni ‘50, non solo dallo scontro ideologico fra capitalismo e comunismo ma anche da campagne furiose e paranoiche come il maccartismo, il tutto nel pieno di un confronto tecnologico e scientifico fra grandi potenze che non ammetteva cedimenti né scrupoli di tipo etico.

Oppenheimer, più che le sue simpatie progressiste, note già negli Trenta e passate abbondantemente al vaglio delle agenzie di sicurezza, pagava la ferma avversione, a guerra finita, al progetto della nuova Bomba H, la bomba a idrogeno, molto più potente di quelle sganciate nel ‘45 sul Giappone, e considerata dalla stessa Commissione per l’energia atomica di cui Oppenheimer faceva parte un ordigno "di categoria totalmente differente rispetto all’atomica", da essere la potenziale "bomba di un genocidio". In quegli anni, ai dilemmi etici suscitati dalle esplosioni a Hiroshima e Nagasaki si era aggiunto il timore di uno scontro atomico fra le grandi potenze, tanto che un gruppo di scienziati e filosofi guidati da Albert Einstein e Bertrand Russell aveva firmato un Manifesto per avvisare che un’eventuale guerra nucleare avrebbe minacciato "la continuazione dell’esistenza umana" e per invitare "i governi del mondo a rendersi conto, e a dichiararlo pubblicamente, che il loro scopo non può essere ottenuto con una guerra mondiale". Fra i primi firmatari del Manifesto c’era Max Born, Nobel per la fisica nel 1954, maestro di Oppenheimer.

Robert Oppenheimer nacque a New York nel 1904 in una ricca famiglia ebrea borghese di origine tedesca. Brillante studente di chimica e fisica sperimentale, appassionato di poesia e filosofie orientali, nel ‘27 si trasferì in Germania, all’Università di Gottinga, dove Born lo introdusse alla fisica teorica, allora in fase di straordinaria e affascinante espansione, con l’avvento della fisica quantistica. Autore di importanti intuizioni teoriche e pubblicazioni, l’ambizioso Oppenheimer tornò in patria e proseguì i suoi studi, che lo portarono, fra le altre cose, a compiere ricerche pionieristiche verso la scoperta dei buchi neri nello spazio. Cominciò a interessarsi alle prime ricerche sulla fissione dell’uranio.

Per la qualità dei suoi studi, la sua intraprendenza, i suoi legami coi maggiori fisici del suo tempo, Oppenheimer fu scelto nel ‘42 come responsabile scientifico del Progetto Manhattan: si trattava di concepire un ordigno nucleare così potente da decidere la guerra e anticipare l’analoga ricerca avviata dalla Germania nazista. Prima di affidargli l’incarico, fu ovviamente setacciato il suo passato e non mancarono i punti critici. Nell’Europa di fine anni ’20 e negli Usa post crisi del ‘29 il giovane fisico aveva scoperto la questione sociale e si era così avvicinato ad ambienti di sinistra, aveva sostenuto progetti sociali e umanitari, c’erano iscritti al partito comunista nel suo entourage. Tuttavia passò l’esame e fu affiancato nel segretissimo progetto dal generale Leslie Groves, che di lui ebbe a dire: "È un genio, con il quale si può parlare di qualsiasi cosa e comprende subito. Tranne che di sport, di quello non capisce nulla".

Il resto è storia nota. Oppenheimer riuscì a convincere i migliori fisici e tecnici del paese (alcuni immigrati dall’Europa) a trasferirsi nei nuovissimi laboratori di Los Alamos, dove fu concepita e creata la bomba atomica. Da uomo di cultura a poliglotta (conosceva anche il sanscrito) anni dopo descrisse così la sua reazione al “Trinity test“, la prova generale dell’atomica eseguita nel luglio 1945 nel deserto di Alamogordo: "Sapevamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Alcuni risero, altri piansero, i più rimasero in silenzio. Mi ricordai del verso delle scritture Indù, il Baghavad-Gita. Vishnu tenta di convincere il Principe che dovrebbe compiere il suo dovere e per impressionarlo assume la sua forma dalle molteplici braccia e dice: “Adesso sono diventato Morte, il distruttore dei mondi”. Suppongo lo pensammo tutti, in un modo o nell’altro". Ma Oppenheimer non fu fra quelli, guidati dall’ungherese Leo Szilard, che chiesero di limitarsi a un uso dimostrativo della bomba. Il presidente Truman optò per la notte nucleare di Hiroshima e Nagasaki.

Solo in seguito Oppenheimer si impegnò per fermare la corsa alle superbombe: "I fisici hanno conosciuto il peccato – disse una volta – e questa è una conoscenza che non si può perdere".

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