Il politico. Il medico. Il massone. Il suo nome era Salvador Allende. Morì (suicida) l’11 settembre 1973. I generali felloni avevano tradito il Presidente del Cile, avevano tradito il loro Paese. E lui, Allende, poco prima di morire, aveva parlato da Radio Magallanes al suo popolo per spiegare che, nonostante tutto, la Storia continuava. "Probabilmente – disse – questa sarà l’ultima occasione in cui potrò rivolgermi a voi (...) Nelle mie parole non c’è amarezza, ma delusione". Parla dal palazzo della Moneda e, nell’istante "in cui preme il grilletto Allende è ancora il Presidente del Cile, l’alfiere del popolo di Sinistra, il medico, il massone, il padre di famiglia e l’uomo che amava le donne, che non voleva essere un eroe, il nipote di Allende il rosso, l’erede di una tradizione repubblicana e progressista ininterrotta dai tempi dell’indipendenza nazionale".
Parole semplici che servono a farci capire “al volo“ chi era Allende. Parole scritte da uno dei suoi biografi migliori, quel Jesùs Manuel Martìnez, che fu molto vicino al Presidente e che si salvò dai carnefici di Pinochet grazie alla Chiesa e all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Divenne uno dei tantissimi esuli e scrisse, tra l’altro, questo bellissimo libro che la casa editrice Castelvecchi ha ristampato in occasione dell’anniversario del golpe cileno del 1973. Un libro che non è solo la storia di un uomo (era nato a Valparaìso il 26 giugno 1908), ma anche la biografia di una nazione. E che comincia con l’ultimo discorso di Allende, una sorta di manifesto politico e di vita che fa capire il personaggio, con le sue paure e le sue speranze. Il discorso finale, insomma, costituisce "la colonna sonora" di questo libro.
Il Cile che esce fuori da queste pagine, abituati come siamo a declinarlo come la cupa notte della dittatura iniziata nel 1973 (e su cui nemmeno il Cile tornato alla democrazia ha fatto i conti) è, in realtà, un Paese vivace, allegro. Fondamentale per Salvador la famiglia. Dal padre, alla madre, anzi, alle madri (Allende era solito dire che aveva avuto due mamme: quella naturale e quella “adottiva“, qualcosa di più di una “tata“) alla moglie Hortensia Bussi che, pur amando senza se e senza ma il suo Salvador, mai gli perdonò la sua adesione alla massoneria, nata dall’ammirazione per il nonno. E proprio dal nonno Allende aveva ereditato il gusto della battuta, del prendere e prendersi in giro. Fantastica la risposta che dà a un giornalista che gli chiede: "Qual è il libro che ha influito maggiormente sulla sua vita?"; "L’abbecedario".
Non un Allende, insomma, ma tanti Allende che queste pagine, rendono in tutta la sua forza. La forza di un uomo che il destino volle spezzare, ma che rimane intatta nel cuore di tutti coloro che si battono per una società più libera e più giusta.
Francesco Ghidetti