STEFANO MARCHETTI
Magazine

"Non conversiamo più? Prendiamola con filosofia"

Al via il Festival di Modena sul tema “Parola“. Il sociologo Le Breton: "Se perdiamo la comunicazione in presenza con l’altro, perdiamo l’etica"

"Non conversiamo più? Prendiamola con filosofia"
"Non conversiamo più? Prendiamola con filosofia"

Hanno ucciso la conversazione. Ma chi sia stato lo sappiamo benissimo. "Oggi, grazie alle tecnologie, la comunicazione ha preso il sopravvento e ha come “colonizzato“ la parola. Si comunica in modo efficace e veloce e con precisione ma paradossalmente in tutto questo sembra quasi secondaria la presenza dell’altro. E, a mio parere, un mondo dove non c’è l’altro e dove si smarrisce la reciprocità finisce per perdere anche l’etica", osserva il professor David Le Breton, già docente di sociologia e antropologia all’università di Strasburgo, autore di saggi tradotti in dodici lingue, che proprio a “La scomparsa della conversazione“ dedicherà la sua lezione al “Festival Filosofia“, domani (sabato 16) alle 20.30 in piazzale Re Astolfo a Carpi. "Parola" è la chiave del festival di quest’anno, al via oggi: a Modena, Carpi e Sassuolo, più di 50 lezioni magistrali nelle piazze e una miriade di eventi collaterali, dalle mostre agli spettacoli.

Professore, ma comunicazione e conversazione non sono sinonimi?

"No, esiste una distinzione netta. Nella conversazione è fondamentale il rapporto faccia a faccia, anzi visage à visage, volto a volto. L’attenzione all’altro si esplica anche nelle espressioni, nella capacità dell’ascolto, nello scambio".

Quindi una conversazione non può avvenire se non in presenza...

"Esatto. La conversazione è fisicità, è corporeità, è vita. È più generosa, anche nell’incertezza: quando si avvia una conversazione, a volte non si sa dove si andrà a finire. La comunicazione invece è diretta, puntuale, spesso assai utilitaristica: arriva all’obiettivo, ma smaterializza il corpo".

Da cosa lo nota?

"Quando giro per la città, vedo tanti che passeggiano con il telefono in mano e lo fissano continuamente: sono chini, quasi prostrati, come in una specie di preghiera. Nessuno più guarda gli altri, pochissimi si accorgono di quanto accade intorno: sembra un mondo cieco. Tutti sono pronti a cogliere il messaggio o la notifica che arrivano sul display, e se magari stanno parlando con qualcuno si interrompono per leggere la novità. Appena vent’anni fa tutto questo non accadeva".

La pandemia ha accelerato questo processo?

"Purtroppo sì. Io stesso me ne sono reso conto nel mio lavoro: prima non avevo mai tenuto una lezione a distanza, negli ultimi mesi ho dovuto fare almeno cinquanta riunioni da remoto. In questo senso, sono convinto che la pandemia abbia davvero rappresentato una frattura antropologica. Anche ora che siamo tornati in presenza e ci possiamo incontrare e guardare negli occhi, continuiamo a parlare a distanza".

Fra i suoi libri ci sono anche Sovranità del silenzio e Sul silenzio. Dunque anche il silenzio ha un ruolo?

"Certo. La comunicazione ha bandito il silenzio, lo considera un difetto o un errore, come quando un collegamento va a singhiozzo. Invece in una conversazione è importante anche tacere per mettersi in ascolto dell’altro: è un silenzio attivo".

Ma è un processo irreversibile? Non si può tornare indietro?

"Credo di no. Dobbiamo vivere con questa tirannia della comunicazione e della tecnologia. Però possiamo applicare delle forme di resistenza".

Per esempio?

"Io amo i cammini (fra i suoi libri più recenti La vita a piedi. Una pratica della felicità, ndr). Camminando insieme ad altri, amici, familiari o conoscenti, faccio conversazione: ci guardiamo negli occhi, abbiamo scambi di idee, ritroviamo la lentezza, la presenza della natura, un tempo proprio e non quello imposto dalla tecnologia. Ma si può resistere anche facendo cicloturismo o giardinaggio. Personalmente, anche quando vado in bicicletta tento sempre di aprire un altro mondo".

Proprio niente smartphone?

"No, per carità, anche per me è uno strumento, ma cerco di non esserne schiavo. Lo smartphone resta in fondo alla mia valigetta: leggo i messaggi poche volte al giorno, e non mi sento obbligato a rispondere immediatamente. Funziona. E si vive meglio".