Nina Zilli e la sua anima rock: "Io, guerriera contro le ingiustizie"

La cantautrice si racconta: "Ho visitato un campo profughi tra Libano e Siria. Mi piace abbracciare le cause dei più deboli"

Nina Zilli (Fotowebrdc)

Nina Zilli (Fotowebrdc)

Milano, 17 dicembre 2018 - I cantautori? Per lei sono dei ‘disoccupati professionisti’ che girano il mondo a caccia d’ispirazione. Mattinata bigia per Nina Zilli davanti al cielo nuvoloso della Miami che le si para davanti all’ora di colazione. "Tirando il freno a mano alla vita di tutti i giorni, la vacanza restituisce l’artista al suo lavoro di pensatore mettendolo in una condizione creativa ottimale", assicura all’altro capo del filo l’eroina di ‘50mila’, al secolo Maria Chiara Fraschetta, dal suo buen retiro americano. "Non è un caso che l’embrione delle nuove canzoni si manifesti spesso nei momenti di riposo, quando il peso dalle responsabilità più canoniche di questo lavoro è allentato".

L’arte è sempre uno stimolo.

"Sono una figlia unica che ha passato tanto tempo da sola, riempiendolo di disegni, di canzoni, e di partite di basket. Poi il rock’n’roll ha preso il sopravvento, ma ancora oggi, se non imbraccio una chitarra o suono il pianoforte, amo rigirare la matita tra le dita per illustrare quel che mi passa per la mente, anzi fare ‘disegnini’, come li chiamo per non prendermi troppo sul serio".

E la pittura?

"Non dipingo più, però, mi piace entrare nello studio di Omar (Hassan, il fidanzato-artista - ndr) e respirare tutti quei colori, vederli sul muro, per terra, ritrovarmeli addosso, perché in un contesto del genere non ti imbratti un po’ anche tu vuol dire che c’è qualcosa che non va".

Lei non ha mai preso a pugni la tela con i guantoni intinti nella vernice come fa Hassan per realizzare le opere che l’hanno reso famoso.

"No, perché quelle sono creazioni legate ai suoi trascorsi sul ring. Tant’è che ha deciso di produrne solo 121, il numero dei round sostenuti nel corso della sua carriera pugilistica. Da artista puro qual è, Omar ha però un parco d’idee che va ben oltre quelle sue particolarissime tele. D’altronde il continuo bisogno di rigenerarsi è l’essenza dell’arte. Pure io incido ogni mio nuovo disco come se fosse il primo, provando a dargli connotati diversi dal precedente; inizio con la scrittura, con la ricerca dei suoni, lasciando poi che tutto prenda via via forma".

La televisione non sembra poi tanto creativa.

"Quella del piccolo schermo è tutta un’altra esperienza, molto più goliardica del cantare, del disegnare o del dipingere. La tv è una divertente scatola magica che, se usata bene, può diventare un contenitore importantissimo. Soprattutto per una come me che passa la vita a comunicare".

E a combattere, come ha dimostrato all’ultimo Sanremo portando un brano tutto dalla parte delle donne quale ‘Senza appartenere’.

"Con quel pezzo volevo raccontare la bellezza, la forza, la resilienza della femmina, nel bene e nel male. Essendo una donna cresciuta da donne, mamma Mara a nonna Anna, ho una spiccato senso di appartenenza. Da piccola ero una nerd bullizzata per via dell’apparecchio ai denti e dell’aspetto un po’ cicciotto; quindi bisognosa di protezione più di tante amichette. La cosa ha finito col mettermi dentro una voglia di riscatto che, davanti all’ingiustizia, tira fuori tutto il mio spirito guerriero".

D’ingiustizia, d’altronde, in giro ce n’è.

"Sarebbe bello, come diceva Thomas Moore, vivere in un mondo utopico in cui tutti hanno le stesse possibilità. Purtroppo, però, non è così. E quando ti rendi conto che stiamo in una società in cui potremmo vivere tutti meglio riservando solo qualche attenzione in più a chi è rimasto indietro, quando capisci che in giro c’è tanto odio perché qualcuno lo fomenta per i suoi miseri tornaconti personali, non ce la fai a rimanere con le mani in mano".

Di recente è volata in Libano per guardare negli occhi la guerra.

"Mi piace sposare le cause di chi non ha abbastanza voce da farsi sentire e per questo collaboro con Terre des Hommes, rete internazionale di organizzazioni che si occupa dei più deboli: i bambini. Sono stati proprio gli operatori di Terre des Hommes a propormi di visitare, in qualità di ambasciatrice, un campo profughi libanese al confine con la Siria".

Che esperienza è stata?

"Ho accettato di andare fin lì per farmi un’idea di cos’è oggi la guerra rispetto a quella che mi raccontava mio nonno e, ascoltando le storie di queste persone, mi sono resa conto che, in fondo, orrore, distruzione e miseria rimangono sempre gli stessi. Pensavo che sarei uscita da quegli incontri con un forte senso di colpa per la mia posizione di persona privilegiata, nata nella parte giusta del mondo; invece sono rimasta sorpresa dalla speranza e dalla voglia di vita della gente che avevo attorno e, in particolare, dalla gioia dipinta sul volto di una donna che era riuscita a salvarsi assieme al marito e ai suoi cinque figli. Date le condizioni, una specie di miracolo di cui forse, da questa parte del Mediterraneo, ci sfugge il senso".

Avete girato pure un documentario.

"A differenza di altre iniziative a cui mi sono avvicinata in punta di piedi, volevo documentare questa esperienza per far capire bene, soprattutto ai più giovani, qual è il prezzo della guerra e come questi ‘spaventosi’ migranti abbiano il diritto di farsi una vita da qualche parte. Oltre al diritto di vivere, infatti, per un bambino ce n’è un altro non meno importante; quello di sognare. E niente glielo può togliere. Neppure la brutalità delle armi".

Certi choc sono creativi?

"Ogni forte esperienza lascia il segno. E io che ho questo strizzacervelli chiamato musica, tendo poi a tirarli fuori. Certe storie e certe immagini m’hanno messo addosso qualcosa con cui so già che dovrò confrontarmi; nella vita di tutti i giorni e pure nelle canzoni".

Al prossimo disco, quindi.

"Intanto a febbraio pubblico una raccolta di miei disegni. L’ho concepita come una specie di guida alla città di sogni, una Lonely Planet immaginaria e immaginata, strutturata proprio come se fosse un vademecum con risposte rapide e concise su tutto quello che avevo voglia di disegnare: dal Big Bang agli unicorni di Parco Sempione. La ‘fata turchina’ di questo mondo onirico ha l’aspetto poco muliebre di Screamin’ Jay Hawkins, l’autore di I put a spell on you, ma trattasi di libro dei sogni. E nei sogni vale tutto".

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