Martedì 23 Aprile 2024

Nicola Lagioia "Nuove Lucy sulla cultura Giovani e no, ma insieme"

Lo scrittore e direttore del Salone del libro lancia una rivista multimediale "L’unico lusso che mi concedo è scrivere libri. Ma sono un autore lento..."

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di Stefania

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Nicola Lagioia, direttore editoriale di Lucy, la rivista multimediale inaugurata il 1 febbraio, viviamo un tempo che ci è stato dato in sorte, di transizione, disorientamento, di crisi, avviare una nuova impresa culturale è un atto di coraggio o di incoscienza?

Premessa necessaria. Lagioia nelle riviste ci è cresciuto (15 anni nella redazione dello Straniero di Goffredo Fofi e un’altra manciata di anni a Minimum Fax). Se poi si aggiunge che è il timoniere (di successo) del Salone del libro di Torino che si appresta a dirigere per l’ultima volta, la risposta pare scontata. "Secondo me – risponde senza esitare – è un atto che asseconda un desiderio, un’urgenza. Urgenza e desiderio sono dovuti al fatto che le riviste sono al tempo stesso uno strumento conoscitivo, un posto in cui far incontrare persone anche molto diverse tra loro, far scoprire mondi di cui prima non avevi consapevolezza. In questo primo numero ospitiamo una videolezione di Giovanna Tinetti, un’astrofisica nota a livello internazionale che insegna alla UCL di Londra. Attraverso il suo racconto scopriamo cosa cerchiamo e cosa speriamo di trovare quando ci avventuriamo al di fuori nel nostro sistema solare... Telmo Plevani ci racconta tutto di Lucy, l’antenato dell’umanità. Simbolicamente è la nostra grande madre: abbiamo scelto di chiamarci così per rivolgere un occhio alle origini proprio mentre proviamo a spingerci nel futuro dell’informazione culturale".

Lucy si occuperà di cultura e attualità. A chi vi rivolgete?

"La nostra ambizione è di creare una comunità, più che un pubblico. Quando questo succede vuol dire che si riesce ad innescare un processo trasformativo in chi legge. È accaduto in passato per molte riviste. Non posso non citare Frigidaire (rivista culturale italiana di fumetti, rubriche, inchieste, musica, creata negli anni Ottanta, ndr) che io da ragazzo, nato e cresciuto a Bari, divoravo, ne ero un appassionato lettore, arrivavo alla fine di ogni numero sempre un po’ cambiato. Dal punto di vista anagrafico Lucy poi è una scommessa: al suo interno ci lavorano persone che hanno 50 anni e persone che non hanno compiuto i 30. C’è forse bisogno di un’alleanza intergenerazionale. Chiaramente guardiamo ai nativi digitali, i ragazzi si informano dai social ed è online che abbiamo la possibilità di incontrare molti di loro, ma i lettori forti rimagono fondamentali. D’altronde tra i primi pezzi che abbiamo pubblicato ce ne sono di bellissimi: una riflessione di Domenico Starnone sulla natura dei processi creativi, un inedito di Annie Ernaux tradotto mirabilmente da Lorenzo Flabbi e pubblicato in collaborazione con la casa editrice L’Orma".

I ragazzi non leggono...

"Non è vero, siamo noi adulti il problema. In giro ci sono ragazzi curiosi, come è sempre accaduto. Starei lontano dai luoghi comuni, anche quelli che riguardano il declino delle arti. Ogni epoca ha i suoi grandi scrittori. Ho citato prima Starnone e Ernaux. Spostandoci un po’ a est c’è ad esempio Mircea Cartarescu, a cui pure a un certo punto dedicheremo spazio su Lucy. Direi invece che c’è un problema di accesso alla cultura. Chi si occupa di mediazione culturale dovrebbe provare a mettersi più in gioco".

Si spieghi meglio.

"In giro ci sono film e libri meravigliosi. Dobbiamo farli conoscere indipendentemente dal fatto che siano o meno in promozione, dobbiamo allargare lo sguardo. Prenderci il lusso ogni tanto di essere inattuali, e sempre la responsabilità di sostenere con forza le persone in cui crediamo. Prendiamo Alice Rohrwacher, una regista di grande livello. Questo era molto chiaro sin dal suo esordio, Corpo celeste. Dovremmo considerarla costantemente un punto di riferimento. Se parliamo di lei solo quando un suo film viene candidato all’Oscar, allora c’è qualcosa che non va".

E i social sono un bene o un male?

"Credo che dovremmo provare ad usarli in modo diverso. I social passeranno, le arti rimarranno. Il digitale non ha prodotto, però, solo macerie. Una rivista come la nostra – che produce anche video e podcast – non avrebbe avuto le risorse sufficienti per nascere in un mondo analogico".

È la sua ultima edizione del Salone del Libro di Torino, perché lascia?

"Sette anni mi sembrano abbastanza. Ogni anno è andato meglio del precedente a livello di risultati, ma ha assorbito sempre più le mie energie. Prima o poi dovevo interrompere l’esperienza, ed è meglio farlo quando le cose vanno bene".

A quando un suo prossimo libro?

"Scrivere libri è l’unico vero lusso che mi concedo. Un mio libro è finito quando è finito, e io sono uno scrittore piuttosto lento".

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