ROBERTO DAVIDE PAPINI
Magazine

Lucca Comics and Games, Gipi: "Nell’ossessione dei like la genesi del male"

Gianni Pacinotti racconta il suo lavoro, ispirato a una sua disavventura social. Ne nasce una riflessione sull’umanità

"Nell’ossessione dei like la genesi del male"
"Nell’ossessione dei like la genesi del male"

"Stacy è un libro complicato, che parla del male, della genesi del male. Parla dei social network e di quanto ci stanno friggendo il cervello, parla della superficialità di un certo ambiente culturale. E parla anche, forse e soprattutto, della vanità, cioè di quella roba che ci fa cercare il like, l’applauso dagli sconosciuti senza pensare se questo ci fa bene o male". In poche parole Gipi (nome d’arte di Gianni Pacinotti) racconta il suo libro Stacy (Coconino Press) che a Lucca Comics & Games (la rassegna del fumetto e dei giochi che vede le testate del gruppo QN come media partner e che si è conclusa ieri) è stato tra i più attesi e tra i più discussi anche perché parte da un episodio autobiografico. Nel libro, Gianni è uno sceneggiatore di successo, scrive serie tv. La sua carriera è all’apice quando un’intervista, all’apparenza innocua, rimette tutto in discussione. Tre semplici parole, date in pasto ai social network, si trasformano in una bomba di indignazione.

Partiamo con l’uso distorto dei social network e con il fatto che quello che accade al protagonista è accaduto anche a lei.

"La questione di quello che accade al protagonista ed è accaduto a me è una bischerata, sulla quale io ho sofferto molto. Ma il problema ero io, non quegli attacchi".

In che senso?

"Il punto è che ho sofferto per una roba su cui non dovevo soffrire. Ecco, il libro alla fine è stata una riflessione su questo. Sul perché ti ritrovi a dipendere dal gusto degli altri".

Una cosa molto diffusa.

"Esatto, oggi quasi tutti si raccontano all’esterno. Pubblicano le foto delle vacanze, della colazione, i video della famiglia che canta e guardano chi gli mette il like. Poi arriva una carogna che senza conoscere niente mette un commento distruttivo. Il fatto è che è tutto molto superficiale, anche gli attacchi che ho ricevuto io".

Però, torniamo sempre lì, lei ha sofferto molto per questi attacchi per quanto fossero superficiali.

"Infatti è questo il grave, ma non dipende dagli attacchi, dipende da me, dal mio approccio sbagliato".

E come si fa a non soffrire di fronte a una valanga di offese sui social?

"Devi rinunciare alla vanità, devi capire che la vanità è una roba sbagliata, che cercare approvazione dagli sconosciuti è un difetto. L’approvazione devi cercarla altrove".

Dove?

"Tra i tuoi affetti, tra quelli che ti conoscono davvero. Perché vede siamo di fronte a una cosa inedita nella storia.

Quale?

"È la prima volta che le persone si trovano a essere sottoposte al giudizio di una moltitudine di sconosciuti. Fino a oggi l’opinione che ci interessava era quella delle persone vicine: familiari, amici, colleghi, persone con cui avere un confronto reale e che ti seguono nelle varie fasi della vita. Ora invece hai davanti una moltitudine di sconosciuti per i quali non sei nulla nemmeno quando ti dicono che sei un genio. Il punto non è che non si devono offendere le persone online, non si devono nemmeno lodare le persone online".

È il contesto culturale a spingere verso questo.

"È vero, ma intanto io penso che se i like costassero, anche solo 20 centesimi, non esisterebbero più. È tutto gratis dal punto di vista economico ed emotivo. Ma la moltitudine fa paura. Quando ti accusano migliaia di persone è brutto".

Nel suo caso di cosa l’avevano accusata?

"Addirittura di essere un amico degli stupratori per una battuta che prendeva in giro uno slogan femminista di “Non una di meno”, ovvero che che “Alle donne si deve credere sempre”. Che nell’ordinamento giuridico ci sia una corsia preferenziale per un genere la trovo una follia ed è molto offensivo nei confronti delle donne".

Cosa le dicevano?

"Mi auguravano di morire, di non lavorare più, chiedevano alla casa editrice di bruciare i miei libri. Andavo a letto e pensavo che al risveglio avrei avuto altri mille commenti così".

Come si difendono i più giovani da questi fenomeni?

"Non dovrebbero stare sulle piattaforme. Non gliele vieterei perché sono un libertario, ma bisogna offrire alternative. Non ho una soluzione, ma so che gli fa male stare sui social".

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