Mercoledì 24 Aprile 2024

Nella cantina dell’anima

Silvio

Danese

Nei cinque film italiani in concorso, per una volta si muove una plausibile ipotesi di cinema. Cinque film non "per il pubblico" ma per sezioni e gusti e attenzioni diverse del pubblico in sala, generi compresi, anche se non tutti premono sulle riunioni della giuria presieduta dal Premio Oscar Bong Joon-ho. Ai due estremi, la lingua dei sensi buioluce di “Il buco“ di Frammartino e l’ambizione sbilanciata al blockbuster d’autore di “Freaks out“ di Mainetti. Al centro, pieni di doti e potenzialità di ampi consensi, “Qui rido io“ di Martone e “È stata la mano di Dio“ di Sorrentino.

È in sostanza un thriller psicologico di realtà allucinazione l’ultimo della cinquina, “America Latina“ dei gemelli D’Innocenzo, ambientato tra due dimensioni: la villa sulla pontina di un riservato dentista tutto casa-famiglia (Germano) e, come dire, la location mentale del professionista, che in cantina scopre una ragazza tenuta prigioniera. Chi l’ha imprigionata tra moglie e figlie e perché? Una velleitaria dose di ambiguità vicina al sopravvalutato “The Others“ di Amenabar cerca di tenerci nel mistero di un uomo a cui cede, con la ragione, l’identità. Non proprio applaudito. Ed è ancora l’ambiguità sulla certezza dei fatti che muove l’altro titolo in concorso, “Les choses humaines“ di Yvan Attal, sul confine mobile tra consenso e violenza sessuale nell’incontro tra due adolescenti, quasi un "giudiziario" di evidente, eterna, attualità, che deve molto al romanzo di Karine Tuil.

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