di Stefano Marchetti "Io un giorno crescerò, e nel cielo della vita volerò..." Come nel testo della canzone più iconica dei ‘suoi’ Nomadi, anche Augusto Daolio amava vagabondare con il pensiero, viaggiare fra "spaesati paesaggi", lasciarsi contagiare – confidava – "da quello strano male che spinge a guardare tutto con grande stupore". Per lui la musica era "un mezzo sociale per comunicare con gli altri: ansie, rabbia, amore, idee e progetti", mentre la pittura gli serviva per scavare dentro se stesso, per interrogarsi, "per la meraviglia e il segreto". Trent’anni fa Augusto è volato nel cielo di una vita senza fine, a pochi mesi da altri grandi ‘testimoni’ del quotidiano che abitavano pure in terra reggiana, a una manciata di chilometri dalla sua Novellara, Luigi Ghirri, fotografo delle cose che nessuno ‘vede’, e Pier Vittorio Tondelli, narratore del postmoderno. La voce di Daolio continua ad accarezzarci grazie all’incredibile epopea dei Nomadi, sessant’anni di carriera e più di ottanta album, e il suo estro ci ‘parla’ nei suoi dipinti e nei suoi disegni, una passione a cui il cantautore si è dedicato per tutta la vita: circa sessanta opere, olii e chine colorate, realizzate fra il 1973 e il 1992, saranno riunite nella mostra Il respiro della natura, promossa da Ferrara Arte presso la Palazzina Marfisa d’Este, da sabato all’11 settembre. "I disegni di Augusto Daolio sono le evocazioni di emozioni che sono dentro di noi e che non dobbiamo faticare a riconoscere", osserva Vittorio Sgarbi, presidente di Ferrara Arte. È un grande, profondo sentimento della natura, quello che emerge dalle opere di Augusto: rami, cortecce, fronde si intrecciano e si fondono con i corpi di uomini, donne, cavalli. Per Daolio, l’albero – protagonista di tanti dipinti – è un essere fisico ma anche metafisico e poetico, che "trae nutrimento dall’oscurità della ...
© Riproduzione riservata