Mercoledì 24 Aprile 2024

Mussolini fu (anche) l'uomo del consenso

Il giudizio sul Duce continua a suscitare polemiche. Ma tra il 1926 e il 1936 era apprezzato in patria e all’estero. Dopo, l’inizio della fine

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A proposito delle polemiche successive a mie affermazioni l’altro giorno ad Agorà sugli anni del consenso a Mussolini, vorrei innanzitutto presentare alcune referenze.

Negli anni scorsi ho curato al Vittoriano due mostre sulle leggi razziali con Marcello Pezzetti, lo storico italiano più autorevole della Shoah. Ho accompagnato l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella visita a una di esse. Nel mio documentario sul 1948 trasmesso dalla Rai ho ripercorso con Liliana Segre lo strazio della sua deportazione. E così via.

Il mio libro Perché l’Italia amò Mussolini (e come è sopravvissuta alla dittatura del virus) è il secondo di una trilogia. L’anno scorso uscì Perché l’Italia diventò fascista (e perché il fascismo non può tornare). Per l’anno prossimo è in programma Perché Mussolini distrusse l’Italia.

Nel libro uscito da poco, non viene taciuta nessuna delle brutalità del regime, al di là di quella suprema della soffocata libertà di una nazione: la soppressione dell’opposizione, l’arresto e il confino degli avversari politici, le "leggi fascistissime" che annullarono qualunque dialettica, l’incendio delle sedi politiche e sindacali non allineate.

Questi sono fatti indiscutibili. Ma lo è anche lo straordinario consenso che tra il 1926 e il 1936 Mussolini ebbe in Italia e all’estero.

Il primo ad approfondire questo tema fu lo storico liberale Renzo De Felice, ripagato nel ’96 da due bombe incendiarie contro la sua casa. Ma chi avrà voglia di leggere il mio libro, scoprirà che pressoché tutti i maggiori storici ed economisti antifascisti di oggi prendono atto degli anni del consenso senza alcuna reticenza.

Emilio Gentile, il più autorevole del gruppo, spiega che "elemento costante del mito fu la presenza nella personalità di Mussolini di un fascino carismatico e di eccezionali qualità pubbliche".

Churchill si diceva “affascinato” da Mussolini, Roosevelt ammetteva di tenersi "in stretto contatto con quel gentleman italiano", Gandhi considerò “un avvenimento storico” aver preso un the con il Duce a villa Torlonia.

Rexford Tugwell, l’uomo più a sinistra dell’amministrazione Roosevelt, diceva che "il fascismo è la macchina sociale più scorrevole e netta, la più efficiente che io abbia mai visto".

Erano gli anni in cui Mussolini era in rotta con Hitler e difendeva gli ebrei. Nei Colloqui (1932) con Emil Ludwig, grande giornalista tedesco, ebreo e pacifista, Mussolini disse: "L’antisemitismo non esiste in Italia. Gli ebrei italiani si sono sempre comportati bene come cittadini e come soldati si sono battuti coraggiosamente". (Lo storico antifascista francese Pierre Milza ricorda che Ludwing “non era il solo a considerare Mussolini forse il più grande statista vincente”).

Erano gli anni (1933) il cui il capo del movimento sionista mondiale Chaim Weizmann andò a chiedergli interventi rassicuranti presso Hitler. In cui (1934) ufficiali ebrei provenienti da tutto il mondo furono accolti alla Scuola marittima di Civitavecchia per fondare la marina militare israeliana (e ci rimasero fino alle leggi razziali del ’38 quando furono messi in salvo dai marinai italiani).

Scriveva nel 1930 dall’esilio Carlo Rosselli, che sarebbe stato ucciso dai fascisti in Francia: "La forza bruta da sola non trionfa mai. Ha trionfato perché ha toccato sapientemente certi tasti ai quali la psicologia media degli italiani era straordinariamente sensibile. Il fascismo è stato in un certo senso l’autobiogafia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che ha il culto dell’unanimità, che rifugge dall’eresia, che sogna il trionfo della facilità, della fiducia, dell’entusiasmo".

Naturalmente Mussolini conquistò la benevolenza degli italiani anche con le sue opere economiche e sociali. Alberto Beneduce, un antifascista massone che voleva ammazzare il Duce e che non prese mai la tessera, ha creato l’Iri, l’Imi, il Crediop, la Stet, la Finsider, che hanno retto l’economia italiana fino a poco fa o che (Fincantieri) ancora prosperano.

Fu il fascismo a fare le grandi bonifiche (ispirato da Stalin e imitato poi da Roosevelt), a fondare l’Inps con tutti gli ammortizzatori sociali, a promuovere la settimana lavorativa di quaranta ore, l’Opera nazionale per la maternità e l’infanzia, l’Opera nazionale dopolavoro che arrivò a contare cinque milioni di iscritti. Le colonie marine per bambini che non avevano mai visto il mare. (Quella di Rimini fu diretta da Tina Pizzardo, condannata nel ’27 come militante comunista, ma chiamata per le sue capacità pur essendosi rifiutata di iscriversi al partito).

Nessuna dittatura sarà mai accettabile, ma bisognerà pur capire perché gli italiani si sono tenuti per vent’anni un signore che li avrebbe poi trascinati nel baratro. E al baratro, cominciato con le orride leggi razziali, sarà dedicato il prossimo libro.

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