Giovedì 18 Aprile 2024

Sogno americano. E l’Italia partiva sui bastimenti

Rivive in una mostra a Parma la storia dei nostri emigranti: milioni di connazionali si imbarcavano verso la terra promessa, tra speranza e nostalgia

Navigazione Generale Italiana, 1920: è la mostra di Parma 'Partivano i bastimenti'

Navigazione Generale Italiana, 1920: è la mostra di Parma 'Partivano i bastimenti'

Parma, 8 marzo 2022 - ​Un posto in terza classe per Buenos Aires sui "nuovissimi vapori celeri a due eliche" della Compagnia Amburghese Americana costava 170 lire nel 1907: per i “passeggieri“ – assicuravano gli armatori – erano disponibili bagni e lavandini. La nave Prinz Adalbert partiva il 20 luglio, la Prinz Oscar il 10 agosto. Sul manifesto, a caratteri minuscoli, era scritto pure che il viaggio sarebbe durato 21 giorni: tre settimane verso una terra promessa.

"Nel 1861 l’Italia unita contava 26 milioni di abitanti. Nei cento anni successivi, altrettanti italiani sarebbero andati via per cercare fortuna oltre l’oceano. È stato il più grande esodo di un popolo nella storia moderna", ricorda Massimo Cutò, giornalista e appassionato collezionista, che a 'Mercanteinfiera' di Parma (dal 12 al 20 marzo) cura la mostra 'Partivano i bastimenti. Home sweet home America', un toccante percorso nella storia dell’emigrazione dall’Italia al mondo, un altro mondo. Più di duecento oggetti raccontano sogni, speranze, fatiche e conquiste dei nostri connazionali che salivano sui piroscafi con una valigia di cartone, affrontando una lunga traversata e un futuro di incognite. Con il loro coraggio e il loro lavoro hanno portato l’Italia in terre lontane, consolidando un’identità nazionale.

Nei cento anni dall’Unità d’Italia in poi, quasi sei milioni d’italiani partirono verso gli Stati Uniti, particolarmente verso New York (che nel 1910 divenne... la quarta città italiana dopo Napoli, Roma e Milano), altri tre milioni verso l’Argentina, un milione e mezzo verso il Brasile. Il Sudamerica prometteva terre da coltivare, gli States garantivano lavoro. E l’offerta di posti sulle navi divenne un ghiotto business: diffusi nei piccoli paesi, anche attraverso i sindaci e i parroci, gli eleganti poster e depliant delle grandi compagnie di navigazione come La Veloce, Lloyd Italiano, Cosulich, e le straniere, dalla Fabre Line alla Société Générale des Transportes maritimes à vapeur, facevano a gara nel decantare piroscafi meravigliosi, tirati a lucido e – a loro dire – comodissimi, "massimo comfort, telegrafia senza fili, grandiosi refettori con tavoli per gli emigranti". Certo, in prima classe si stava da signori, "ma un reportage di Edmondo De Amicis, che nel 1889 si imbarcò su una nave per l’Uruguay, rivelò che i passeggeri meno abbienti viaggiavano in condizioni pietose, fra casse, animali, vecchi cenciosi e sporchi", aggiunge Cutò.

Si partiva comunque, col groppo in gola, fra speranze e nostalgia: Angelo, 17 anni, nel 1910 lasciò la Lucchesia per il Brasile e cuciti nella camicia teneva due sacchettini di lino, uno con l’aria della sua terra, l’altro con un pugno di spezie. Proprio come quel bimbo, morto pochi anni fa nel naufragio del barcone nel Canale di Sicilia, che aveva nel giubbotto la sua pagella scolastica.

La mostra ci offre immagini e storie su cui riflettere, fra cui anche le temutissime schede sanitarie compilate a Ellis Island, approdo di tutti i migranti a New York, le insegne delle attività commerciali fondate da quegli “italiani macaroni“ che avevano scoperto l’America e vendevano vino, olio, pasta e i sigari Garibaldi e Colombo, e ancora le orgogliose fotografie di quelli che ce l’avevano fatta, incastonate in una cornice con le due bandiere, italiana e statunitense, i certificati di matrimonio, le bellissime coccarde ricamate delle Società di mutuo soccorso dei nostri connazionali e (per coloro che sapevano leggere) i manuali e i dizionari con i modi di dire degli americani. E alcune lettere di là dal mare, raccolte da Paolo Cresci e Italo Mario Nunzi, "Caro marito o saputo sei arrivato. Nostre figlie dicono sempre quando è che torna il nostro babbo?", con la colonna sonora delle canzoni più amate come Santa Lucia luntana. Tutte memorie di un Paese di emigranti che poi è diventato un Paese di immigrati, ma non può dimenticare da dove viene. E soprattutto dove è andato.

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