
La domanda è: era giustificata tanta attesa e tanta attenzione verso il debutto teatrale di Nanni Moretti, impegnato a portare in scena due commedia di una scrittrice come Natalia Ginzburg da lui molto amata ma in generale apprezzata non tanto per gli undici copioni (Ti ho sposato per allegria è il più rappresentato) quanto per i libri e in particolare per quell’indimenticabile romanzo autobiografico che è Lessico familiare? La risposta è: sì. E per più ragioni.
Intanto il merito della messa in scena di Diari d’amore (che raccoglie Dialogo e Fragole e panna rispettivamente del 1970 e del 1966), di cui appunto Moretti firma la regia, è di riportare alla luce una drammaturgia sorprendente solo apparentemente storicizzata ma in realtà attraversata dagli echi di grandi maestri novecenteschi come Pinter o addirittura Beckett. A questo va aggiunto un allestimento (sostenuto da un cast di eccellenti attori) robusto, onesto e incisivo che, nella fedeltà assoluta del testo, riesce a far emergere il magma di crudeltà e disagio che si nasconde sotto la scrittura apparentemente “sotto tono“ dell’autrice.
Teatro della tradizione? Sì, ma intelligente. Per il pubblico è ovviamente aperta la caccia nello spettacolo al “morettismo“, ovvero a quella cifra tutta personale (tic, manie, piccole ossessioni) a cui Nanni ci ha abituato nei suoi film. O magari siamo dalle parti di Tre piani? Non è importante. Quel che conta è che come quel teatro “delle chiacchiere“ riesca ancora a rovesciarci in faccia l’inadeguatezza e l’apatia verso la complessità della vita. E per farlo Moretti sembra inseguire una sorta di normalizzazione del testo capace però di far emergere ritmo ed energia, con una cura quasi maniacale per la battuta.
Diari d’amore ha debuttato in questi giorni al Carignano di Torino, essendo il Teatro Nazionale di quella città coproduttore con altri organismi nazionali (Ert, Teatro di Napoli, Carnezzeria) e internazionali. La lunga tournée terminerà a giugno a Parigi. Cinque gli attori coinvolti: Valerio Binasco e Alessia Giuliani sono interpreti sia della prima che della seconda pièce; Daria Deflorian, Arianna Pozzoli e Giorgia Senesi solo della seconda. Due stanze della tortura al centro di questi due piccoli drammi borghesi, una camera da letto coniugale e il salotto di una benestante di una casa di campagna. Due stanze dove si consumano matrimoni stanchi, amori impossibili e rapporti dolorosi ma dove la tragedia può permettersi di scivolare in barzelletta perché l’intimità domestica è permeata di una rassegnata indifferenza.
Hanno mezzo secolo questi copioni della “corsara“’ (come Sandra Petrignani chiama Ginzburg) ma non lo si avverte troppo e il merito è di una lingua asciutta, musicale e mai autocompiaciuta. Un letto frontale incorniciato da due alti pannelli con una finestra socchiusa sullo sfondo (le scene sono di Sergio Tramonti) ospita, come in una inquadratura fissa, il ring di Dialogo: marito e moglie chiacchierano a letto, lei deve fare un’atroce confessione, lui la umilia senza capire. "Non gridare" è la frase che torna con più frequenza quasi che la negazione del dramma sia una via di fuga dal dolore consumato in quella stanza dalle pareti troppo strette.
Si cambia scena. In Fragola e panna (finora mai rappresentata) siamo nel salotto di una casa isolata di campagna mentre fuori nevica. C’è un grande divano verde (Artaud non diceva forse che in teatro il verde è il colore della sana follia?) spezzato in due come la vita dei due coniugi: arriva all’improvviso la giovane amante del marito in cerca di aiuto, l’uomo non c’è ma la moglie ritrova in quella ragazza così scombinata una qualche nostalgia per la sua vita sprecata. Questo non basterà. "Dove vado?", ripete insistentemente la ragazza. "Dove andranno?", vien da chiedersi, pensando agli altri abitanti della casa. E soprattutto cosa resta di queste storie? Forse un mondo fatto di “uomini da niente“, di “case sbagliate“ e di conflitti scivolati nell’indifferenza. Gli attori , come si si è detto, sono tutti bravi ma una citazione è dovuta, oltre che a Binasco, a Deflorian che nel ruolo della Serva di Fragola e panna costruisce un cammeo di comicità disperante che ben racconta la leggerezza estrema di Ginzburg.
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